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In Italia l’86% delle donne è impegnato con diversi gradi di intensità nell’assistenza a familiari ammalati, figli, partner o più spesso genitori. 1 su 3 se ne prende cura senza ricevere aiuto e solo 1 su 4 è agevolata dal punto di vista lavorativo

photo credits: www.villagecare.it

Sono tante, tantissime (oltre 15 milioni di persone, secondo i dati ISTAT del 2011), si prendono cura quotidianamente di figli, mariti, genitori, partner disabili o anziani, rinunciano al lavoro e alla vita sociale, ma anche a curare la loro salute. Sono le donne che in Italia sono caregiver, alle quali Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con Farmindustria, ha dedicato un approfondimento all’interno del Libro bianco 2018 “La salute della donna – Caregiving, salute e qualità della vita”, appena presentato.

UNA INCOMBENZA CHE LE LASCIA SOLE - Non sono dati confortanti, quelli che emergono dallo studio: innanzitutto quante sono? Sono tante: la ricerca rileva che lo fanno 86 donne su 100. Un terzo di queste si occupa dei propri cari senza aiuti, solo la metà fa affidamento su collaborazioni saltuarie in famiglia e soltanto nel 14% dei casi si appoggia a un aiuto esterno. Per le donne lavoratrici la situazione si aggrava ulteriormente dal momento che solo 1 su 4 può avere accesso al part-time, allo smart working o agli asili assistenziali.

COSA FA LA CAREGIVER FAMILIARE – La giornata di una caregiver ruota intorno alle esigenze del congiunto che assiste: deve quindi dividersi tra accudimento generale (lavare, ldare da mangiare, seguire nelle operazioni basilari della vita quotidiana) a compiti propriamente infermieristici, come eseguire medicazioni e somministrare farmaci, fino  a mansioni burocratiche.

I RISCHI PER LA SALUTE - Si tratta di un carico assistenziale che impatta a 360 gradi con la vita di queste persone, minandone la salute, poiché, di fatto, ci si trascura perché non c’è tempo per sè. La ricerca rileva che  in molti trascurano la propria salute anteponendo quella della persona che accudiscono e si trovano così a rimandare visite mediche, controlli ed esami, a seguire un’alimentazione scorretta, privandosi spesso di una regolare attività fisica e del giusto riposo notturno.

RISCHIO DI BURNOUT –  Anche quando un caregiver non sia ammalatao di qualcosa di “visibile”, non è detto che a livello psichico la sua salute non risenta del forte stress cui è sottoposto a livello psichico: il carico che ne consegue può rivelarsi attivatore di malattie e depressione, fino ai casi più estremi dove il caregiver può sperimentare la sindrome del burnout, uno stato di esaurimento emotivo, mentale e fisico causato da uno stress prolungato nel tempo legato ad un carico eccessivo di lavoro e problemi familiari. In aggiunta, il cambiamento di abitudini e la mancanza di tempo libero modificano le relazioni affettive e familiari portando all’isolamento.

COME SI CURANO LE CAREGIVER – La caregiver che si accorge di stare male, cerca di arrangiarsi. La ricerca rileva che nel 46% dei casi di problemi lievi di salute e nel 29% delle situazioni più gravi, la donna si prende cura di sé stessa da sola. Ben il 68% delle donne con alto tasso di coinvolgimento nel caregiving è totalmente autonoma nella gestione delle proprie problematiche di salute, talvolta anche fortemente invalidanti.

PEGGIORE QUALITA’ DELLA VITA - Per quanto riguarda la salute delle donne in generale, il Libro bianco conferma che, nonostante vivano più a lungo - 84,9 anni, contro gli 80,6 degli uomini -, hanno un’aspettativa di vita “in buona salute” di 57,8 anni rispetto ai 60 per gli uomini perché più soggette a fragilità, polipatologie, perdita di autosufficienza e più predisposte a disturbi cognitivi e depressivi.

SOSTENERE LE CAREGIVER – Le caregiver familiari si ammalano, non si curano, devono rinunciare al lavoro, non hanno il tempo per un caffè con le amiche, per una chiacchiera, figurarsi per il parrucchiere. Ma queste donne lavorano: giorno e notte a seguire una persona malata, sostituendosi in alcuni casi allo Stato in una assistenza che altrimenti peserebbe anche sulle tasche di tutti noi. Il minimo che si possa fare, a questo punto, è riconoscere il loro lavoro, in primis riconoscendo loro diritti legati alla contribuzione lavorativa, e permettendo loro di licenziarsi dal lavoro con la certezza di percepire una pensione quando sarà il momento. Si attende che anche a livello centrale ci si allinei a  normative regionali che in alcuni casi hanno superato la normativa nazionale, come nei casi di Emilia Romagna, Lombardia, Lazio, Piemonte, Sicilia, Toscana e Veneto.


Per approfondire:

Sintesi dello studio

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Redazione

photo credits: www.villagecare.it

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