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Alle barriere fisiche e strutturali si aggiunge ancora una distorta percezione della donna con disabilità, spesso ritenuta anche dai professionisti un’eterna bambina, priva di sessualità

Nella settimana della giornata internazionale della donna, abbiamo deciso di accendere il focus su quanto ancora le donne con disabilità siano trattate in maniera diversa rispetto alle donne non disabili, oltre che agli uomini, e quanto queste discriminazioni arrivino ad investire ambiti diversi, a partire dal diritto alla salute sessuale e riproduttiva, per allargarsi poi ad altri aspetti, quantomai attuali, come quelli della violenza di genere.

Ne parliamo con Adriana Belotti, donna con disabilità che collabora con diverse testate giornalistiche, affrontando tematiche riguardanti la disabilità.

Si sente spesso dire che le donne con disabilità sono vittime di discriminazione multipla. In che senso?
La discriminazione delle donne con disabilità è un fenomeno che, per essere compreso, deve essere guardato da una prospettiva intersezionale. Le donne con disabilità, cioè, sono più discriminate delle donne senza disabilità, ma anche degli uomini con e senza disabilità. Questo è evidente, come vedremo, soprattutto in alcuni ambiti, come la violenza o il lavoro, due tra le pochissime aree di cui disponiamo di dati disaggregati in base al genere.
In Italia, infatti, i dati statistici sulla popolazione con disabilità sono pochi, datati e raramente disaggregati in base al genere, quindi è anche difficile avere un quadro realistico sulla condizione di vita delle donne con disabilità e questo si traduce nella difficoltà di adottare politiche di genere che includano anche le loro istanze.

Il diritto alla salute e, più specificamente, alla salute sessuale e riproduttiva, dovrebbe essere garantito a tutte le donne. Quali sono le principali barriere che ostacolano il pieno esercizio di questo diritto da parte delle donne con disabilità?
Innanzitutto barriere culturali, legate a stereotipi e luoghi comuni: le donne con disabilità vengono considerate creature angeliche e asessuate, per le quali la vita sessuale e riproduttiva non esiste…e quindi non sussiste neanche l’esigenza di prendersi cura della loro salute in questi ambiti.
Tutto ciò concretamente si traduce in servizi di ginecologia e ostetricia inaccessibili a causa di barriere architettoniche, ad esempio scale o gradini all’ingresso delle strutture sanitarie, mancanza di lettini ginecologici elettrici o sollevatori, assenza di percorsi per le donne cieche, ecc.
Poi ci sono le barriere comunicative, ad esempio l’assenza di interpreti LIS (Lingua dei Segni Italiana) o di materiale informativo in Comunicazione Aumentativa Alternativa, utile, tra le altre, alle donne con disabilità cognitiva, e le barriere legate alla dimensione relazionale del rapporto tra il personale medico e infermieristico e le pazienti.

Potrebbe spiegarci meglio quest’ultimo aspetto?
Considerare la donna con disabilità un’eterna bambina e ritenerla priva di sessualità, sono stereotipi che hanno delle ricadute molto pratiche nella relazione medico-paziente. La tendenza a infantilizzare le pazienti con disabilità, ad esempio, è un comportamento abbastanza comune. Molte donne riferiscono che spesso il personale medico e paramedico si rivolge a loro con lo stesso tono di voce che si usa con i bambini molto piccoli, oppure non interloquisce affatto con loro ma parla solo con la persona che le ha accompagnate alla visita o, ancora, non tiene in considerazione la loro opinione o volontà.
Poi ci sono gli stereotipi e i pregiudizi legati alla sessualità delle donne con disabilità. Molte ginecologhe e molti ginecologi non ritengono possibile che una donna con disabilità possa non essere più vergine, avere rapporti sessuali o “addirittura” essere madre.

Quali sono gli interventi più urgenti che dovrebbero essere fatti?
Sicuramente molta formazione agli operatori sanitari e alle operatrici sanitarie, che non riguardi solo gli aspetti legati all’accessibilità fisica agli ambulatori e agli ausili - seppur fondamentale -, ma che sia centrato anche e soprattutto sulla promozione della consapevolezza della discriminazione multipla di cui è vittima questa fascia di popolazione. La disabilità è una questione prima di tutto politica.

In che senso?
Una fascia di popolazione, che non corrisponde al criterio di “normalità” dettato dal modello medico, viene etichettata come “fuori dalla norma” e quindi inferiore…
Di fatto a questa fascia di popolazione viene deliberatamente negato l’accesso a esperienze, così come le viene negata la possibilità di godere di diritti fondamentali. All’interno di questa fetta di popolazione, le donne sono le più svantaggiate.
Senza questa consapevolezza, credo sia difficile procedere nella direzione giusta. L’accessibilità delle cure, così come di ogni altra esperienza umana e sociale, poi viene di conseguenza.

Esistono ambulatori ginecologici accessibili in Italia?
Sì, informareunh.it, il sito del centro di documentazione Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, ne ha individuati alcuni che sono raccolti in una pagina dedicata. Ad oggi quelli individuati sono dieci, presenti complessivamente in sei regioni. L’elenco, però, non può essere considerato esaustivo perché il monitoraggio è stato effettuato attraverso i siti delle strutture sanitarie, che potrebbero non essere stati aggiornati rispetto alla presenza di ambulatori accessibili. L’ultimo ad essere stato inaugurato, per quanto ne sappiamo, è l’ambulatorio di Padova, all’interno del poliambulatorio dell’Aulss 6 Euganea di via Scrovegni, attivo da fine gennaio.

Che caratteristiche hanno?
Alcuni di loro sono accessibili a donne con tutti i tipi di disabilità - motoria, sensoriale e cognitiva -, mentre altri prendono in carico solo donne con alcuni tipi di disabilità. L’ambulatorio di Padova, ad esempio, per ora è rivolto solo a donne con disabilità motoria, anche se, nelle intenzioni del gruppo promotore, composto dalla Consulta delle malattie neuromuscolari del Veneto e da alcune private cittadine, avrebbe dovuto prendere in carico anche donne con disabilità sensoriale e cognitiva.

In cosa si differenziano dagli altri ambulatori ginecologici?
In genere sono privi di barriere architettoniche sia nell’accesso all’edificio, che nello studio. E poi sono dotati di ausili specifici: lettini elettrici, sollevatori, percorsi tattili per le donne cieche, interpreti LIS per le donne sorde, ecc. Il personale che lavora nell’ambulatorio solitamente viene formato per accogliere queste pazienti: in alcuni casi, come è successo a Padova, la formazione viene svolta purtroppo solo su aspetti tecnici, relativi agli ausili e alle tecniche di mobilitazione delle pazienti, mentre in altri il personale viene formato anche sulla gestione degli aspetti relazionali e comunicativi. Purtroppo non esistono ancora linee guida nazionali rispetto alla formazione del personale.

La violenza sessuale e di genere sono piaghe sociali pervasive. In che misura ne sono colpite le donne con disabilità?
I dati italiani più recenti sono quelli contenuti nell’audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita presso il Senato. Il documento, datato 24 gennaio 2024, si riferisce a dati relativi al 2022. Nel sottoparagrafo “I dati sugli omicidi e l’identificazione dei femminicidi”, si riporta che il rischio di essere vittima di omicidio per gli uomini decresce col progredire dell’età, mentre per le donne cresce con l’invecchiamento ed è massimo per le fasce più anziane. Queste donne sono state uccise con lo scopo dichiarato di “porre fine a diverse tipologie di situazioni critiche”. Anche se non viene menzionata esplicitamente, ipotizziamo che, tra le situazioni critiche, possa esserci anche la condizione di disabilità, subentrata nell’ultimo periodo della loro vita. Nel 2022 questo genere di omicidi è stato l’11,1% del totale, percentuale che sale al 27,3% se consideriamo le ultrasessantacinquenni.
Invece, i dati Istat del 2014, ci dicono che ad aver subito violenza è il 36,6% delle donne con limitazioni gravi, contro il 31,5% delle altre. Inoltre il rischio di subire stupri o tentati stupri è il doppio (il 10% contro il 4,7% delle donne senza disabilità).

Esistono dati sulla violenza contro uomini con disabilità?
In Italia non vengono raccolti, ma due recenti studi dell’università di Auckland, in Nuova Zelanda, pubblicati dall’American Journal of Preventive Medicine mostrano come, sebbene le principali vittime di violenza fisica siano uomini con disabilità, le donne con disabilità siano le principali vittime di tutti gli altri tipi di violenza (sessuale, economica e psicologica). Poi esiste anche la violenza abilista, cioè quella contro le persone con disabilità. Anche questo tipo di violenza sembra colpire maggiormente le donne rispetto agli uomini e si verifica più spesso nei contesti sanitari o i luoghi di cura (36,3%), seguiti dalla famiglia e dagli amici (21%).

I percorsi di uscita dalla violenza sono accessibili a donne con disabilità? Quali sono le principali barriere che incontra una donna con disabilità nel percorso di uscita dal circuito di violenza?
Le barriere che incontrano le donne con disabilità che vogliono uscire dalla violenza sono molteplici: architettoniche, presenti in molti centri antiviolenza e Case rifugio o nelle sedi dei processi; sensoriali e comunicative, ad esempio, l’assenza di percorsi tattili per donne cieche, di interpreti LIS per donne sorde o materiale informativo scritto in CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa) per donne con disabilità cognitiva. E naturalmente, i pregiudizi delle operatrici e operatori del settore (operatrici dei centri antiviolenza, psicologi, giudici) nei confronti delle testimonianze delle vittime di violenza con disabilità, che talvolta non vengono credute, soprattutto se donne con disabilità cognitiva.
Infine, secondo il rapporto Istat “Sistema di protezione per le donne vittime di violenza - anni 2021-2022” del 7 agosto 2023, il 94,1% delle Case rifugio si è dotata di criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti e l’80,7% (272 Case rifugio) non accoglie donne con disagio psichico.

Esistono centri antiviolenza accessibili in Italia?
Sì, e un elenco lo possiamo trovare in una sezione dedicata di informareunh.it, il sito del centro di documentazione Gabriele e Lorenzo Giuntinelli. Sono sei, quelli individuati finora, in sei regioni, ma l’elenco potrebbe non essere esaustivo. Di questi, solo il Servizio Antiviolenza Disabili di Torino, nato nel 2014 dalla collaborazione tra l’associazione Verba e l’ASL Città di Torino – Consultori familiari, prende in carico anche gli uomini vittime di violenza.
Sono ancora troppo pochi, ma si tratta di buone prassi da conoscere e diffondere, affinché possano essere replicate.

Redazione

 

Immagine di freepik

 

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