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Le difficoltà di comprensione del contesto e di comunicazione con l’esterno per alcune persone con gravi disabilità possono rendere il ricovero una situazione ancor più complicata da affrontare

Siamo ancora immersi nella tempesta Coronavirus, mentre sembra che finalmente uno spiraglio di luce potrà arrivare grazie alla somministrazione del vaccino che dovrebbe iniziare anche nel nostro Paese a partire da gennaio, con priorità per le fasce più fragili e quelle più esposte al contagio, come i sanitari.

Parallelamente a questa questione, che peraltro ha sollevato appelli dal mondo della disabilità chiedendo che anche le persone disabili siano inserite nella prima tranche di vaccini prioritari, c’è una seconda questione importante che le famiglie di persone con disabilità grave hanno sollevato in questi giorni, nei quali ancora si combatte con la malattia e le sue tragiche conseguenze. Si tratta della richiesta, avanzata da numerosi caregiver, di un protocollo che consenta loro di stare a fianco dei propri congiunti con disabilità in caso di ricovero ospedaliero per Coronavirus, anche in terapia intensiva.

LA SEPARAZIONE DAI FAMILIARI
Il distacco e la separazione dai familiari (che non possono in alcun modo entrare in contatto con i ricoverati per Coronavirus) sono uno degli aspetti più drammatici della pandemia: nel caso di persone con disabilità gravi (si pensi a problematiche di tipo intellettivo), questo distacco rappresenterebbe, inoltre, una difficoltà enorme nella comprensione del mutato contesto e di ciò che sta loro accadendo.

IL CASO DI VALERIA SCALISI
Non dimenticheremo mai anche i moltissimi anziani morti in solitudine, nei casi più fortunati dopo aver potuto dare un ultimo straziante saluto ai propri cari grazie al telefonino messo a disposizione da infermieri e medici dai loro letti di terapia intensiva.
Emblematico, nella questione, anche il recente caso di Valeria Scalisi, trentaduenne con Sindrome di Down, morta per Covid al Policlinico di Catania, lontana dai familiari che sempre si erano presi cura di lei, e che avevano chiesto di poterlo fare anche in quel contesto.

IL CAREGIVER IN OSPEDALE

Da qui la richiesta dei caregiver di poter essere al fianco del familiare disabile, anche in un eventuale ricovero ospedaliero per Coronavirus. "Siamo consapevoli dello sforzo e della dedizione che i sanitari impiegano per tutti i pazienti, rischiando loro stessi il contagio: ai percorsi di cura occorre però aggiungere un Protocollo, che preveda la presenza di un caregiver accanto alla persona con disabilità grave ricoverata", è l’appello di Tiziana Grilli, presidente dell'Associazione Italiana Persone Down.
AIPD chiede dunque a gran voce la soluzione a questo problema, che riguarda le persone con Sindrome di Down  e tutte quelle con disabilità Intellettiva, che non si autodeterminano e non hanno capacità sempre di esprimere i loro bisogni. “Essere ricoverati in un reparto ospedaliero per la necessità di cure, significa per tutti cambiare completamente il contesto di vita abituale – spiega Grilli - ma pensate cosa possa accadere alle persone che non hanno gli strumenti per decodificare e sopportare le nuove condizioni e che spesso non hanno una comunicazione verbale efficace. Occorre quindi che si possa prevedere la presenza, accanto alla persona con disabilità, di un caregiver che volontariamente svolga questo compito e possa mediare la lettura del nuovo contesto. Questo permetterebbe di facilitare l'accettazione della sofferenza e delle cure, ma anche di facilitare il lavoro degli operatori sanitari, che devono comprendere a volte una forma di comunicazione a loro completamente sconosciuta".

UNA PRASSI DA METTERE A SISTEMA
Alcuni casi hanno peraltro dimostrato che si potrebbe fare. Spiegano dall’associazione: Sappiamo che la presenza di un parente è stata permessa, almeno nei reparti di degenza se non in terapia Intensiva, in diverse analoghe situazioni, peraltro determinando una condizione di miglioramento del benessere emotivo del paziente con disabilità: e questo può avere una ricaduta positiva anche sul percorso terapeutico – spiega Grilli - Non chiediamo l'impossibile quindi, ma di mettere a sistema, rendere esecutiva, una pratica umanizzante e indispensabile perché le persone con disabilità abbiano sì le stesse opportunità di cura, ma con sostegni adeguati a realizzare l'efficacia necessaria alla sopportazione della sofferenza e alla guarigione, dove possibile".

BISOGNI GIÀ PRESENTI MA ORA AMPLIFICATI
AIPD, che chiede anche la priorità vaccinale per le persone con disabilità, insieme alle categorie a rischio già individuate dal piano nazionale, sottolinea una amara verità a conclusione del suo appello: "La pandemia ha messo sotto i riflettori, e non creato, il bisogno di sostegni individuali e tipizzati, a volte anche straordinari, di cui necessitano gli interventi sanitari per le persone con disabilità grave in ogni contesto di vita considerato, soprattutto se ospedaliero: ed è questo che chiediamo  alle Istituzioni, a maggior ragione quando c'è in gioco la sofferenza per una malattia, a cui si aggiunge la sofferenza dell'anima, che per alcuni potrebbe essere impossibile sopportare".

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Redazione

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