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copertina libroUn libro amaro, ironico e coinvolgente, da leggere evitando i giudizi


Vi propongo un libro che non ha bisogno di grandi presentazioni, solo di essere letto. E accettato per quello che è: la voglia di non dimenticare.
€˜Avevo voglia di raccontare l’avventura che mi è capitata: la fine del mondo, per due volte, a due anni d’intervallo l’una dall’altra. Due figli handicappati.
Io l’ho vissuta in maniera molto particolare, perché ho avuto la fortuna di fare dello humor sulla mia situazione. Quando ci sono problemi di questo tipo non c’è nulla da fare: piangere un fiume di lacrime o ridere stupidamente. Io rido.‑¬
Eccovi Où on va, papa ? Dove andiamo papà ? l’ultimo libro di Jean-Louis Fournier (la traduzione italiana è pubblicata da Rizzoli editore) reduce dal Prix Femina 2008.
Il risultato della voglia e del bisogno, ignorati per anni, di parlare della propria zona d’ombra, e di confessare al mondo di aver sofferto tanto.
Fournier è padre di due ragazzi affetti da handicap gravissimi. Padre di due bambini che non sono cresciuti come gli altri, che non hanno imparato a parlare né a fare tutte le cose che fanno gli altri. Il figlio più grande, Matthieu, morì all’età di quindici anni. Il più giovane attualmente vive in istituto.
L’autore, ormai settantenne, ci racconta la fatica psicologica del suo essere genitore, la fatica di sostenere gli sguardi di compassione, i comportamenti imbecilli della gente.
Rabbia, disappunto, tristezza, frustrazione e amore. Il tutto accompagnato da un umorismo raro, che Fournier ha usato come un’armatura per proteggersi dai colpi mortali che la vita gli ha inferto.
Una collezione di piccoli episodi, aneddoti e momenti di riflessione sulla sua vita e sulla vita dei suoi figli. Non è un libro semplice, come non è stato semplice il suo essere genitore. Momenti di dolcezza assoluta e di struggente amarezza, confuse nel desiderio di non dimenticarli.
€˜Fino ad oggi non ho mai parlato dei miei due figli. Per quale motivo? M vergognavo‑¬¦
Ma ora, sentendo che il tempo passa, che la fine del mondo si avvicina e che io sono sempre più biodegradabile, ho deciso di scrivergli un libro.
Perché non li si dimentichi, perché non resti di loro soltanto una foto su un documento d’invalidità . Forse per esternare il mio rimorso. Non sono stato un buon padre. Spesso, non li sopportavo. Cono loro serviva una pazienza angelica, ma io non sono un angelo. Quando parliamo di bambini handicappati, assumiamo un aria di circostanza, come quando parliamo di una catastrofe. Per una volta vorrei tentare di parlare di loro con un sorriso.‑¬

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