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Dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità alle Leggi nazionali, con alcuni casi speciali: la normativa raccolta da OSCAD

L’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD) ha recentemente pubblicato l’opuscolo intitolatoL’odio contro le persone disabili”, uno strumento di facile consultazione che fornisce una rapida panoramica dei reati di matrice discriminatoria che colpiscono le persone con disabilità e delle disposizioni che li sanzionano.

Quali sono, dunque, gli strumenti che i cittadini disabili hanno a disposizione per tutelarsi nei confronti di maltrattamenti e abusi e quali, dall’altro lato, i rischi che corrono coloro che non rispettano le regole?

LA NORMATIVA GENERALE IN MATERIA
L’opuscolo sposa l’approccio sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), nella quale la disabilità scaturisce dall’interazione tra la minorazione della persona (fisica, mentale, intellettuale o sensoriale) e le barriere che possono impedirne la piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.
A livello internazionale, tuttavia, sono anche altre le Carte che contemplano la disabilità tra le “caratteristiche” da proteggere dal rischio di discriminazione. Per esempio, nell’Art. 2 della “Dichiarazione universale dei diritti umani” e nell’Art. 14 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” l’elemento disabilità può essere rinvenuto, in via interpretativa, nell’ambito degli elenchi aperti (“ogni altra condizione”). Nell’art. 21 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Ue”, invece, la disability (nella traduzione ufficiale in italiano “handicap”) viene esplicitamente contemplata tra gli ambiti rispetto ai quali viene fatto divieto di discriminazione.
Sul piano nazionale italiano, invece, l’attenzione circa le condotte penalmente rilevanti nei confronti delle persone disabili trova fondamento innanzitutto nella Costituzione, agli artt. 2 (diritti inviolabili) e 3 (pari dignità sociale ed eguaglianza davanti alla legge).
Nell’ambito dell’ordinamento penale, inoltre, sono presenti numerose disposizioni che configurano come reati determinate condotte in danno delle persone disabili. In tali articoli – riportati nella tabella sottostante (par. 6 dell’Opuscolo) – la condizione di disabilità viene definita attraverso espressioni che si sono evolute nel tempo, in parallelo con la sempre maggiore sensibilità in materia: minorazione o deficienza fisica/psichica; inferiorità fisica/psichica; handicap; malattia di mente o di corpo; disabilità.

Per quanto, invece, concerne il diritto processuale penale, è opportuno evidenziare che il Decreto legislativo n. 21213 del 15 dicembre 2015, di attuazione della cosiddetta “Direttiva vittime” UE, ha introdotto l’Art. 90 quater del Codice di procedura penale codificando, in modo strutturale, la condizione di “particolare vulnerabilità” di alcune vittime, tra cui appunto le persone disabili. Dal riconoscimento della condizione derivano una serie di importanti diritti per la vittima particolarmente vulnerabile (cui corrispondono specifici obblighi in capo all’autorità e alla polizia giudiziaria), che si aggiungono alla più generale tutela riconosciuta a tutte le vittime: essere informate; avere un ruolo attivo nel procedimento penale; veder riconosciuti rispetto, protezione, ascolto; aiuto nell’accesso alla giustizia; rimborsi economici e supporto psicologico.

Dallo status di particolare vulnerabilità della vittima discende una tutela rafforzata da parte della polizia giudiziaria in tema di assunzione delle “sommarie informazioni”: ai sensi dell’Art. 134, comma 4 Codice di procedura penale è sempre consentita la riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della vittima, che deve essere ascoltata con l’ausilio dello psicologo/psichiatra, non deve avere contatti con l’indagato mentre viene sentita e non deve essere chiamata più volte a deporre, salva l’assoluta necessità (Art. 351, comma 1 ter C.P.P.).

L’ART. 36 DELLA LEGGE 104/1992
L’Art. 36 della Legge 104 (L. 104/1992) prevede un’aggravante speciale che si applica in maniera trasversale alle diverse fonti del diritto quando a essere vittima dell’illecito è un disabile. L’effetto dell’Art. 36 è l’aumento, da un terzo alla metà, delle sanzioni penali per i seguenti reati:
Art. 527 Codice Penale (atti osceni);
reati non colposi elencati nel libro secondo, titolo XII (dei delitti contro la persona) e titolo XIII (dei delitti contro il patrimonio) del codice penale;
reati di cui alla L. 75/1958 (c.d. “legge Merlin”): reclutamento, induzione, favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione, qualora commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale come definite dall’Art. 3 della medesima legge.

VIOLENZA SESSUALE VERSO PERSONA DISABILE
Il comma 2 n. 1 dell’Art. 609 bis del Codice Penale criminalizza la condotta di chi “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”. A tal proposito è fondamentale chiarire che la norma richiede l’accertamento caso per caso dell’abuso della condizione di disabilità, in quanto si tratta di condizione imprescindibile perché la condotta impropri assuma rilevanza penale, diversamente il rapporto sessuale risulterebbe pienamente legittimo. Il vizio, dunque, non può essere presunto né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona quando non sia di per sé tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi.

MALTRATTAMENTI E VIOLENZE PRESSO CASE DI RIPOSO/CURA
Frequentemente, l’OSCAD registra gravi episodi di maltrattamenti e violenze commessi nei confronti di persone ricoverate presso case di riposo o di cura. In tali casi, può, talvolta, risultare complesso determinare quali reati – ed eventualmente quali circostanze aggravanti – possano essere riscontrati nelle relative condotte illecite. Per questo sul punto è utile richiamare la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in occasioni diverse, ha chiarito che sono ascrivibili a quanto condannato dall’Art. 572 del Codice Penale (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) – che ascrive la presenza di una disabilità tra le aggravanti – i delitti di percosse, minacce anche gravi, ingiuria (ora depenalizzata) e violenza privata, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione, attesa la diversa obiettività giuridica.
Sul punto, inoltre, la Suprema Corte ha puntualizzato che: “ai fini della configurabilità del delitto di cui all’Art. 572 C.P., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall’entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi”.

BULLISMO E CYBERBULLISMO
Se, da un lato, la normativa italiana non riporta da nessuna parte una definizione di bullismo, è la Legge n. 71/2017 a stabilire che “per “cyberbullismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. Nello specifico, in realtà, il cyberbullismo è la manifestazione in rete del bullismo, realizzata mediante strumenti telematici (sms, mms, foto, video, email, chat rooms, istant messaging, siti web, telefonate).
Proprio in ragione della natura prevaricatoria dei fenomeni in argomento, bambini/ragazzi affetti da una qualche forma di disabilità possono divenire vittime ideali in quanto bersagli facili per il bullo. Tenuto conto del fatto che i responsabili sono, spesso, anch’essi minorenni, è opportuno ricordare che, ai sensi di quanto stabilito dall’Art. 98 del Codice Penale, per la legge italiana: “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora 18, se aveva la capacità d’intendere e di volere”.
I comportamenti penalmente rilevanti di cui si rendono responsabili gli autori di atti di bullismo e cyberbullismo sono riconducibili, prevalentemente, ai reati di percosse (Art. 581 C.P.), lesione personale (Art. 582 C.P.), diffamazione (Art. 595 C.P.), violenza privata (Art. 610 C.P.), minaccia (Art. 612 C.P.), atti persecutori (Art. 612 bis C.P.); danneggiamento (Art. 635 C.P.); trattamento illecito di dati (Art. 167 D.Lgs n. 196/2003). Ovviamente, qualora la vittima di bullismo o cyberbullismo sia disabile, le fattispecie di reato contestate potranno essere, tra l’altro, integrate dalle aggravanti di cui all’art. 36 o l’art. 61, comma 1, n.5 della già citata Legge n. 71/2017.

Per approfondire:

Opuscolo completo “L’odio contro le persone disabili”

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