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La storia di una giovane donna che ha recuperato il controllo del piede dopo una paralisi, grazie alla fisioterapia e all’uso dell’L300 Go, il sistema di stimolazione elettrica funzionale di Ottobock. Qui la sua recensione

(Publiredazionale)

L300 Go è il dispositivo di stimolazione elettrica funzionale che Ottobock ha realizzato per sostenere il recupero della capacità di camminare di quelle persone che abbiano perso il controllo del piede a seguito, ad esempio, di ictus, patologie o altri episodi a carico del sistema nervoso.

Per capire come funziona L300 Go e in che modo può contribuire a una riabilitazione in determinati specifici casi, abbiamo intervistato Cassidy Swinger, una donna di 47 anni che a seguito di un aneurisma cerebrale accadutole 8 anni fa era rimasta paralizzata in tutta la parte sinistra del corpo, e che oggi ha ritrovato la possibilità di camminare con meno difficoltà, utilizzando L300 Go.
Cassidy ci racconta come sta recuperando, insieme ad interventi e fisioterapia, la funzionalità del piede, e lancia un messaggio di positività, attraverso le nostre pagine e attraverso il suo blog, a coloro che, soprattutto giovani, si trovino nella sua situazione.
 
Cassidy, partiamo dall’inizio. Ci illustri brevemente chi sei e la tua storia?
cassidy in carrozzinaMi chiamo Cassidy Swinger, ho 47 anni e vengo da una piccola città nel nord della California. Ero venuta in Italia per un anno sabbatico prima di proseguire gli studi, invece mi sono innamorata dell'Italia nel momento in cui sono arrivata. Alla fine, ho trovato un lavoro nella moda e 8 anni dopo ho incontrato mio marito e ho creato una famiglia. La vita era perfetta.
Poi, il 25 agosto 2013 la mia vita è cambiata per sempre. Ero al mare con i miei bambini di 4 e 7 anni, quando mi sono svegliata con un leggero mal di testa che ha continuato a peggiorare nelle ore successive - fino a diventare un'esplosione di dolore insopportabile nella mia testa: era così forte che credevo che sarei morta. Il mio corpo ha iniziato ad avere delle convulsioni e urlavo per il dolore; quando è arrivata l'ambulanza, l'intero lato sinistro del mio corpo aveva ceduto alla paralisi. Quando finalmente mi sono svegliata nel reparto di terapia intensiva, sono stata sopraffatta da una enorme gratitudine: non riuscivo a credere di essere ancora viva. Non sapevo che avrei avuto davanti a me un viaggio lungo e doloroso: ero completamente paralizzata sul lato sinistro. Non potevo camminare, sedermi o nutrirmi. Era come se qualcuno avesse tracciato una linea invisibile al centro del mio corpo e tutto ciò che si trovava a sinistra di quella linea fosse stato cancellato.

Quali sono state le tappe del tuo recupero?
All’inizio niente funzionava per il recupero del cammino, eppure ho continuato a provare la stessa gratitudine che ho provato nel momento in cui mi sono svegliata. Cinque ospedali dopo ero finalmente pronta per iniziare la fisioterapia solo per sentirmi dire, dopo soli 3 mesi, che le mie possibilità di camminare erano molto scarse. All’epoca ero in sedia a rotelle, e come spesso succede nella paralisi, si erano atrofizzati i muscoli che non usavo. Questo mi ha causato spasticità, e il mio piede era completamente bloccato, non rispondeva e rendeva sempre più difficile camminare. Non hanno dato risultati neanche le infiltrazioni di botulino. Dicevano che il mio percorso di recupero si sarebbe fermato lì.

Sentirsi dire una cosa simile deve essere devastante. Come hai reagito?
Tornata a casa, ho iniziato a fare tantissime ricerche sull’aneurisma cerebrale e centri di recupero. Fortunatamente sulla mia strada ho incontrato un medico diverso dagli altri, che mi ha convinto che era troppo presto per arrendersi, e che avrei dovuto crederci: potevo tornare a camminare. Fu in quel periodo che decisi che dovevo aiutare gli altri, e fu allora che iniziai incoraggiando altri pazienti a non arrendersi.

È allora che ti hanno proposto per la prima volta una soluzione di Ottobock, è così?
Sì, mi fu dato per la prima volta un sistema di Ottobock, la versione precedente dell’L300 Go.  Era un elettrostimolatore che doveva aiutarmi aiutarmi ad attivare i nervi della gamba sinistra che non rispondevano più. Già quel modello mi aiutò tantissimo ma, sfortunatamente, i miei muscoli si erano atrofizzati e non è stato sufficiente per tornare a camminare.

Che cosa è successo allora? Su cosa hai puntato per il recupero della funzionalità della tua gamba e del piede?
Negli anni a seguire ho fatto altri sei interventi alla gamba sinistra, ore e ore di fisioterapia e infinite ricerche sugli aneurismi cerebrali. Poi, l'anno scorso, sono stata contattata dall'ospedale per provare la nuova versione di L300 Go di Ottobock. Memore dell’esperienza passata, mi sono precipitata, ho fatto la prova e ho constatato quanto fosse avanzato rispetto alla versione precedente: è incredibile quanto mi abbia aiutato, e mi aiuti, a sollevare il piede da terra.
 
Ci spieghi come si indossa e come funziona?
cassidy ottobock L300 goInnanzitutto la macchina in sé è più piccola, e la puoi indossare senza problemi sotto i vestiti -  anche i pantaloni. La mia gamba è paralizzata dal ginocchio in giù, quindi lo indosso appena sotto il ginocchio. Se dovessi definire quello che fa è: mi fa camminare senza paura. Questo perché agisce stimolando i nervi, in modo tale che il piede è come se si sollevasse da solo. Quindi quando io fletto la gamba lui inizia già a dare il comando al piede di alzarsi: è questo quello che non riesco  a fare da sola.  Naturalmente il sistema va settato e regolato dai tecnici che fanno una serie di test della camminata.

Cosa riesci concretamente a fare che prima ti era precluso?
cassidy allenamentoL300 Go rende molto più facile la camminata, permettendomi di sollevare il piede nella fase di oscillazione della deambulazione.  Non ho più paura di inciampare, quindi cammino più velocemente e mi stanco meno. La mia gamba ora è molto più leggera, più facile da sollevare. In questo modo ho recuperato anche una postura più corretta, perché per chi fa fatica a sollevare il piede, un movimento tipico ma dannoso è quelle di sollevare l’anca, quindi zoppicare, causando mal di schiena, problemi di cervicali ecc.

Tu quando lo usi?
Trovo che il vantaggio maggiore che mi abbia dato sia quello di camminare più velocemente, perché non ho più paura di inciampare: quindi lo uso quando vado a passeggiare, soprattutto, e lo tolgo in casa, perché comunque cerco di stimolare la mia riabilitazione nei momenti domestici. La gioia più grande è che riesco a stare al passo con la mia famiglia quando andiamo a passeggio, senza che mi debbano aspettare.

Gratitudine” è una parola che ricorre spessissimo nel racconto della tua storia. Da dove deriva questa sensazione e come la stai incanalando, oltre al tuo recupero?
Quando mi sono svegliata in ospedale la prima volta dopo l’aneurisma, e ho scoperto di essere viva e di poter quindi stare ancora con i miei bambini e la mia famiglia, sono stata pervasa da una enorme gratitudine. Pensavo: ok, ho perso metà del mio corpo, non posso camminare, mangiare, ma mi sentivo veramente fortunata. Questo atteggiamento mi ha aiutato moltissimo nel mio recupero. Naturalmente non significa che non abbia attraversato terribili momenti di sconforto: ce li abbiamo tutti  ed è giusto e necessario attraversarli, piangere, disperarsi, sfogarsi, riconoscere il dolore. Ma dopo, bisogna voltare pagina, cercando di capire con quali piccoli passi si può andare avanti ogni giorni di più. In ospedale ho visto tantissimi “supereroi”: ragazzi che dopo incidenti non mollavano mai, ma anche tante persone che si buttavano giù, che non riuscivano a trovare un motivo per andare avanti. Allora ho cercato, nei miei ricoveri, di essere sempre sorridente e dare un conforto alle altre persone ricoverate.

Da qui è nato anche il tuo blog, Strong Being
Sì, prima ho iniziato con Instagram, con un canale dedicato al mio percorso di recupero (IG: strongbeing_official), poi l'anno scorso ho fondato il blog STRONG BEING OFFICIAL dedicato alla diffusione della consapevolezza su aneurismi e disabilità. Come sopravvissuta so in prima persona che è più facile parlare con qualcuno che ha passato la stessa tragedia rispetto a qualcuno che non l'ha passata. Tra fisioterapia e visite non riesco ancora a scrivere quanto vorrei, ma ho ben chiaro il messaggio  che voglio trasmettere: permettiti di avere momenti di sconforto, ma dopo volta pagina: non possiamo più avere ed essere quello che avevamo ed eravamo ieri, quindi bisogna andare avanti e non mollare mai.
Recentemente, proprio per portare avanti questo progetto motivazionale, ho completato un programma di coaching, quindi sono meglio equipaggiata per sostenere e ascoltare chi ha bisogno di essere supportato in un percorso come il mio con i corretti strumenti  - che non sono comunque quelli di un medico.

Il tuo sogno, oggi, qual è?
Oltre a raggiungere l’obiettivo del mio recupero fisico, vorrei finire il mio percorso di coaching per poter poi portare la mia esperienza negli ospedali, per dimostrare nel mio piccolo come un approccio positivo sia importantissimo nella riabilitazione. Nel frattempo, con lo stesso obiettivo, continuerò a portare avanti e costruire Strong Being, sperando così di poter aiutare gli altri nello stesso mio percorso.


Redazione

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