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La corteccia prefrontale si “isola” dalle altre e non riesce più a comunicare in modo corretto

Negli ultimi quattro anni, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e dall’Università di Pisa, in collaborazione con cinque altri gruppi di ricerca distribuiti sul territorio nazionale, hanno elaborato un approccio di ricerca innovativo che potrà aiutare a capire come alterazioni genetiche compromettono la regolare funzione del cervello, aprendo nuove frontiere nella comprensione delle cause dei disturbi dello spettro autistico.

Lo studio, pubblicato sulla rivista di neurologia Brain, ha visto, in una prima fase, l’analisi da parte di ricercatori di scansioni cerebrali 3D, effettuate tramite risonanza magnetica funzionale, di trenta bambini con disturbi dello spettro autistico. I piccoli pazienti, già coinvolti in un precedente studio statunitense, sono tutti portatori della stessa mutazione genetica: la delezione del cromosoma 16p11.2.
La ricerca ha permesso agli scienziati di identificare alterazioni cruciali presenti all’interno della corteccia prefrontale dei bambini. L’analisi di queste alterazioni, infatti, ha permesso di scoprire che, nei portatori della delezione 16p11.2, la corteccia prefrontale rimane isolata e non riesce a comunicare efficacemente con il resto del cervello, generando sintomi specifici dell’autismo, come un ridotto interesse ad instaurare relazioni sociali e problemi nella comunicazione.

In una seconda fase i ricercatori hanno traslato la ricerca su “organismi modello”, in questo caso i topi, nei quali è stata riprodotta la mutazione 16p11.2, riuscendo ad individuare, sempre tramite tecniche di neuroimaging, gli stessi deficit della corteccia prefrontale presenti nei bambini. Attraverso lo studio sui modelli animali gli scienziati hanno così potuto esaminare le connessioni neuronali a livello neuroanatomico fine (cioè con un dettaglio estremo) scoprendo quali siano le anomalie strutturali potenzialmente all’origine dei difetti di connettività cerebrale riconducibili allo specifico disturbo dello spettro autistico riscontrato nei bambini portatori della delezione 16p11.2.

Alla luce di questi risultati i ricercatori stanno ora studiando altri geni per capire come le mutazioni nel DNA associate all’autismo alterino le funzioni del cervello e individuare le diverse categorie che compongono lo spettro dell’autismo.

“Stiamo imparando a tramutare il DNA e le sue alterazioni in eventi comprensibili che hanno uno specifico meccanismo molecolare e neurobiologico. – Ha spiegato Alessandro Gozzi dell’IIT di Rovereto, a capo del team di ricerca insieme a Massimo Pasqualetti, professore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – È un grande passo avanti nella ricerca sui disturbi dello spettro autistico anche se, purtroppo, siamo ancora lontani dal correggere queste alterazioni”.

“Ci aspettiamo che questo tipo di approccio permetta di identificare in maniera oggettiva quante e quali forme di autismo esistano – conclude Alessandro Gozzi – un prerequisito fondamentale per l’identificazione di future terapie mirate”.

PER APPROFONDIRE:

Autism-associated 16p11.2 microdeletion impairs prefrontal functional connectivity in mouse and human – Rivista Brain


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Alessandra Babetto


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