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Una segnalazione su dieci di quelle giunte nel 2015 al Tribunale per i diritti del malato riguarda invalidità ed handicap, ma in generale sulla sanità pubblica i punti deboli sono molti

Prevenzione, lo sappiamo ormai da un pezzo, è la parola d’ordine quando si parla di salute. Prevenzione significa anche diagnosi precoce, che a sua volta è ingrediente fondamentale per una presa in carico tempestiva e per una definizione di una terapia o di un intervento efficaci. In questo processo, quindi, l’elemento tempo è fondamentale: mai come nelle questioni legate a salute, diagnosi e cure, è importante poter agire con tempestività. Purtroppo la nostra esperienza personale ci mostra quanto spesso siamo costretti a rivolgerci al privato perchè i tempi di attesa non ci permettono di sottoporci a una visita in tempi – se non brevi – accettabili.

IL RAPPORTO PIT-SALUTE - Fatta questa premessa, la lettura di alcuni dati relativi all’accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche in Italia fa preoccupare, perché conferma questa sensazione “empirica”. Abbiamo concentrato la nostra attenzione in particolare su questi dati, estrapolandoli dal XIX Rapporto Pit Salute del Tribunale per i diritti del malato - Cittadinanzattiva, presentato lo scorso dicembre a Roma, dal titolo significativo “Servizio sanitario nazionale: accesso di lusso”.
Il rapporto è stato elaborato sulla base di 21.493 segnalazioni raccolte nel corso del 2015 al PiT Salute nazionale e ai PiT Salute locali e sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato - Cittadinanzattiva, e mette in luce non solo la difficoltà di accesso alle prestazioni, ma anche cattive condizioni delle strutture, difficoltà nel rapporto con medici di famiglia e pediatri, deficit e costi dell’assistenza residenziale e domiciliare, criticità per costi, limitazioni e indisponibilità dei farmaci, documentazione sanitaria incompleta o inaccessibile, lentezza, maggiori criticità nella rete dell’emergenza-urgenza.

30 MESI PER HANDICAP E INVALIDITÀ – Concentrandoci sugli elementi che interessano in particolare le persone con disabilità, scopriamo che una segnalazione su dieci di quelle giunte al Tribunale per i diritti del malato riguarda il tema della invalidità ed handicap. La lentezza dell’iter burocratico per il riconoscimento rappresenta la problematica principale, con il 58,2% delle segnalazioni, lentezza che si riscontra in gran parte (65%) nella fase di presentazione della domanda.
Dalla convocazione a prima visita del riconoscimento di handicap o riconoscimento invalidità, che richiede in media 8 mesi, alla ricezione del verbale che comporta un’attesa di ulteriori 10, fino alla erogazione dei benefici economici (in media 12 mesi dopo), il cittadino deve aspettare in media 30 mesi, ulteriori due in più rispetto ai tempi segnalati nel 2014.
Tempi non accettabili per i cittadini che si sono rivolti al TDM, si legge nella relazione, considerando che sono prevalentemente affetti in un terzo dei casi da malattie oncologiche, da patologie croniche e neurologiche degenerative (27,5%), legate all’invecchiamento (18%) e rare (10,7%).

2 ANNI DI ATTESA PER LA RIMOZIONE DI PROTESI, 15 MESI PER UNA MAMMOGRAFIA - E non migliora in fatto di visite e diagnostica. Quasi una segnalazione su tre (il 30,5%) nel 2015 ha riguardato le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, per liste di attesa (54,5%), ticket (30,5%), intramoenia (8,4%). Nel 2014 queste segnalazioni erano il 25% del totale, con un andamento diverso. Diminuiscono le segnalazioni di liste di attesa per esami diagnostici semplici (dal 36,7% del 2014 al 25,5% del 2015) ma , crescono invece decisamente per gli interventi chirurgici (35,3% nel 2015 vs il 28,8% del 2014) e per le visite specialistiche (34,3% vs 26,3%).
In testa, per segnalazioni su lunghi tempi di attesa negli interventi chirurgici, l’area di ortopedia, con il 30,7% (era il 27,5% nel 2014); per le visite specialistiche l’area oculistica (25% vs 18,5% nel 2014); per gli esami diagnostici, le prestazioni per le quali si attende di più sono le ecografie (18,8%, 24,1% nell’anno precedente).

A questo proposito, ricordiamo che dal 2010 è attivo un Piano Nazionale di Governo delle Liste d'attesa (PNGLA), tutt’ora in vigore, che (pubblicato in Gazzetta Ufficiale (23/11/2010 n. 274, suppl. ordinario) dovrebbe obbligare le regioni a dotarsi di un proprio Piano Sanitario Regionale e, nel caso in cui non lo avessero fatto, a recepire i tempi massimi di attesa per le 58 prestazioni indicate nel Piano Nazionale per cui ASL ed ospedali, devono far rispettare i tempi massimi. In particolare, è previsto un tempo massimo di attesa di 60 giorni per esami diagnostici.

PROTESI E AUSILI IN RITARDO E SCARSI – Per ciò che riguarda l’assistenza protesica e integrativa, secondo il Rapporto del PIT, il cittadino denuncia, nel 47, 6% dei casi, i lunghi tempi di attesa, l’insufficienza delle forniture (26,2%), la scarsa qualità dei prodotti (26,2%). In particolare, le protesi oggetto di lamentela sono quelle per gli arti inferiori (24%), carrozzine, montascale, deambulatori (20%), scarpe ortopediche e apparecchi acustici (16%), busti e corsetti (4%).

ASSISTENZA RESIDENZIALE E RIABILITAZIONE - In tema di assistenza residenziale, soprattutto nelle RSA, un terzo dei cittadini lamenta la scarsa assistenza medico-infermieristica (-4% rispetto al 2014), un altro terzo i costi eccessivi delle rette per la degenza (+11%), le lunghe liste di attesa (-5%), la distanza dal domicilio della famiglia (-2%).
Sul tema della salute mentale, i cittadini segnalano il ricovero in strutture inadeguate (31,3%, +3%), le difficoltà familiari nella gestione della problematica (22,4%), la scarsa qualità dell’assistenza fornita dal Dipartimento o dal centro di salute mentale (17,9%, +6%).
Sulla riabilitazione, le segnalazioni riguardano per lo più quella effettuata all’interno delle strutture sanitarie (43%), per la quale un terzo ravvisa scarsa qualità del servizio, quasi un quarto la mancata attivazione, un quinto la carenza di posti letto; quasi il 30% riguarda la riabilitazione ambulatoriale, per la quale i cittadini lamentano disagi legati all’attivazione del servizio (55,6%) e la scarsità di ore (44,4%); infine il 27% riguarda la riabilitazione a domicilio, per la quale il 31% segnala la difficoltà nell’attivarla, il 21% la riduzione del servizio e un ulteriore 21% (in crescita di ben l’11% rispetto al 2014) la totale sospensione dello stesso.
In tema di assistenza domiciliare, quasi la metà delle segnalazioni (44,8%) riguarda le difficoltà di avere informazioni e la complessità nell’iter di attivazione; il 12,6% l’inesistenza del servizio o le lunghe liste di attesa.
Infine, tema trasversale è quello dei costi privati per curarsi, evidentemente troppo pesanti per le tasche dei cittadini: più di uno su dieci (10,8%) segnala l’insostenibilità economica delle cure.

Redazione

 

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