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Vediamo i casi in cui  è possibile costituire un contratto di lavoro domestico tra parenti o affini per lavoro domestico e di assistenza

Prendersi cura di un familiare non autosufficiente è un compito molto impegnativo: sono tante le difficoltà che affrontano le persone che conciliano il lavoro al ruolo di assistente familiare.
Forse alcuni non sanno che in alcuni casi è possibile assumere a tutti gli effetti il familiare, coniuge, parente o affine che presta l'assistenza, pagandogli un regolare stipendio, versando i contributi che gli spettano e, talvolta, ricevendo un rimborso dal proprio Comune.

IL LAVORO DOMESTICO - É la legge del 31 dicembre 1971, n. 1403 a disciplinare questa possibilità stabilendo che “I lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, che prestano lavoro subordinato presso uno o più datori di lavoro, con retribuzione in danaro od in natura” sono soggetti a:

  • assicurazioni per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, contro la tubercolosi e la disoccupazione involontaria
  • alle norme sugli assegni familiari
  • all'assicurazione contro le malattie
  • all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro

La normativa apre la possibilità di assunzione a coniugi e familiari nell'affermazione: “l'esistenza di vincoli di parentela od affinità tra datore di lavoro e lavoratore non esclude l'obbligo assicurativo” dando così la facoltà di stipulare regolari contratti di lavoro domestico tra familiari, coniugi e parenti.

ECCEZIONI ALLA GRATUITÀ – Di norma, stando alla giurisprudenza, il lavoro prestato in ambito familiare può presumersi a titolo gratuito per il solo fatto che il fruitore sia uno stretto congiunto. Tale impostazione giustificata la presunzione di gratuità per via degli affetti familiari, dei rapporti di parentela e della comunanza di interessi, motivazioni e cause che a rigor di logica giustificano la svolgimento di attività di cura a titolo gratuito.  
Esiste però la possibilità di stipulare contratti di lavoro domestico tra familiari nel caso in cui sussistano delle condizioni specifiche di non autosufficienza del familiare datore di lavoro o, solo per familiari non conviventi, in cui si possa dimostrare l'onerosità della prestazione e la subordinazione del lavoratore.
Questa facoltà è riscontrabile all'art 1 comma 3 della  l. n. 1403 del 31 dicembre 1971, e prevede che la possibilità di costituzione di un contratto di lavoro sia valida sia per i coniugi sia per i familiari fino al terzo grado, conviventi o meno, con differenti modalità.

CONIUGI –   La norma prevede che non sia possibile instaurare un contratto di lavoro domestico tra coniugi. Riporta l’INPS, infatti, che il coniuge è escluso dall’obbligo assicurativo, in quanto le prestazioni offerte si presumono gratuite e dovute per affetto, infatti, ai sensi dell’art.143 c.c , tra i doveri dei coniugi vi è quello reciproco di assistenza materiale e di collaborazione nell’interesse della famiglia, incompatibile con un parallelo rapporto di lavoro domestico. E' possibile però instaurare un contratto di lavoro domestico tra coniugi nei casi in cui il coniuge datore di lavoro fruisca dell'indennità di accompagnamento nei casi di:

  • assistenza degli invalidi di guerra civili e militari,
  • invalidi del lavoro, fruenti dell'indennità di accompagnamento prevista dalle disposizioni che regolano la materia,
  • assistenza dei mutilati ed invalidi civili, fruenti delle provvidenze di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118
  • assistenza dei ciechi civili.


FAMILIARI ENTRO IL TERZO GRADO
- Per parenti e affini entro il terzo grado è possibile costituire un contratto di lavoro domestico che può essere auto-certificato attraverso la dichiarazione di responsabilità presente nella denuncia di rapporto di lavoro domestico (circ. Inps n. 89/1989).
L'INPS in questo caso può ritenere necessari dei controlli per evitare abusi di legge e, a questo fine, può convocare gli interessati che saranno soggetti all'onere della prova. Essi dovranno dimostrare “l’onerosità della prestazione, che consiste nell’obbligo giuridico del beneficiario delle prestazioni di corrispondere una retribuzione per il lavoro svolto (per es., contratto, buste paga, ecc.), e la subordinazione, necessarie perché si possa configurare un rapporto di lavoro dipendente.”

Nel caso in cui la prestazione lavorativa venga prestata in favore ad una persona che fruisce di indennità di accompagnamento e rientra in una delle seguenti categorie, non è necessario sostenere l'onere della prova:

  • grandi invalidi di guerra (civile e militare);
  • grandi invalidi per cause di servizio e del lavoro;
  • mutilati e invalidi civili;
  • ciechi civili;


DISABILITÀ COGNITIVA
– Nel caso in cui la persona disabile non autosufficiente presenti un disagio cognitivo non avrà le facoltà di assumere. Dell'assunzione si dovrà occupare il tutore legale che potrà assumere un familiare stretto che si occupi della cura del congiunto.
In linea di massima il tutore che si inquadri anche nella figura di care-giver non dovrebbe potersi auto-assumere, in ogni caso, supportati da un buon legale, si possono tentare ricorsi soggettivi.

COMUNICAZIONE ONLINE - Dall'aprile 2011 per l'iscrizione e le eventuali variazioni il datore di lavoro domestico può utilizzare il servizio online dedicato. Questo strumento accetta comunicazioni di rapporto di lavoro tra coniugi solo nel caso in cui il datore di lavoro fruisca di invalidità riconosciuta con indennità di accompagnamento. In caso di rapporto di lavoro tra parenti e affini entro il 3° grado invece, “la comunicazione – dopo essere stata effettuata - andrà nello stato “sospeso” e verrà definita dalla sede INPS competente solo dopo aver effettuato i controlli previsti a convalida di quanto dichiarato dal datore di lavoro sotto la propria responsabilità.”

ORARIO DI LAVORO - Come abbiamo spiegato in precedenza gli assistenti familiari possono lavorare giornalmente fino a 8 ore non consecutive, se non conviventi, e fino a 10 non consecutive, se conviventi, ed il contratto deve specificare chiaramente l'orario di lavoro concordato, che deve obbligatoriamente rientrare nei limiti massimi stabiliti dalla normativa.

AGEVOLAZIONI FISCALI - Dal 2007 le spese per l'assistenza domiciliare di persone non autosufficienti sono detraibili (dall'imposta sui redditi) nella percentuale del 19%, calcolabile su un ammontare di spesa non superiore a 2.100 euro. Esiste inoltre un limite di reddito del contribuente: se supera i 40.000 euro la detrazione non viene concessa. Facendo un esempio concreto, se un contribuente spende 10.000 euro, potrà detrarre solo il 19% di 2.100 euro, cioè 399 euro. Fondamentale è tuttavia ricordare che l’agevolazione fiscale non può essere riconosciuta quando la non autosufficienza non si ricollega all’esistenza di patologie.

CONTRIBUTI - Un importante fattore di cui tenere conto quando si valuta la possibilità di assumere una persona, anche un familiare, per l'assistenza domiciliare, è che la persona disabile può avere diritto ad un contributo delle spese di assistenza in base alla L. 162 del 1998. La possibilità di rimborso non è però garantita, è infatti il comune di appartenenza a erogare tale rimborso nel caso in cui la normativa in questione sia stata recepita, e si prevedano quindi rimborsi di questo tipo. Non tutti i comuni stanziano fondi di questo tipo e non recepiscono come possibile questo tipo di rimborso per il coniuge o il familiare, alcuni comuni ad esempio specificano che l’assistenza indiretta dovrebbe essere procurata al di fuori della cerchia famigliare.

VIOLAZIONI DI LEGGE -  Le regole stringenti in merito al lavoro domestico tra familiari e coniugi, connessi anche con l'obbligo della prova di fronte all'INPS, possono sembrare esagerate, ma casi di cronaca ci raccontano tentativi di abuso della legge al limite della verosimiglianza. Uno su tutti il caso di un padre che ha tentato di farsi assumere dalla moglie come colf. Il compito in casa? Prendersi cura dei loro due figli.

La stipulazione di un contratto di lavoro domestico può essere una possibilità per chi desidera prendersi cura di un figlio con grave disabilità, di un marito invalido del lavoro o occuparsi della cura della casa per un familiare, percependo uno stipendio e maturando contributi per una futura pensione. E' utile però tenere presente che il valore dei contributi versati è in rapporto alle ore settimanali di prestazione lavorativa e alla retribuzione percepita, e che questi portano, molto spesso, a una pensione di valore molto basso, in genere al di sotto della pensione minima. Si scoraggia quindi la possibilità di percorrere questa strada se lo scopo ultimo di un contratto di questo genere è unicamente quello per garantire una rendita futura ad un figlio disoccupato.

Per maggiori informazioni sul lavoro domestico visita la pagina web dell'INPS

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Chiara Bullo


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