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La Cassazione ha riconosciuto per i genitori il risarcimento da perdita di chance (causa errore diagnostico) di esercitare il diritto, riconosciuto alla madre dall’art. 6 della legge n. 194 del 1978, di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza

La Corte di Cassazione (terza sezione civile), ha riconosciuto a una coppia di genitori il risarcimento per una diagnosi errata che non aveva messo in luce la malformazione del feto, impedendo di fatto alla coppia di poter eventualmente ricorrere all’aborto, alla luce di quella informazione.
La Corte ha ritenuto applicabile il diritto  anche se le malformazioni del bambino dopo la nascita  non sono giudicate “gravi”  - in quando non  avrebbero inciso sull’espletamento di attività fisiche e psichiche - (il bambino era nato senza gli arti superiori, ndr).

IL FATTO - Una coppia di genitori aveva mosso richiesta di risarcimento danni a un’azienda ospedaliera per l’invalidità permanente del 100% del figlio, nato senza arti superiori, sostenendo che al momento dell’ecografia, durante la gravidanza, non erano state individuate le malformazioni al feto. Questo errore diagnostico avrebbe quindi impedito loro di esercitare eventualmente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (ex art. 6 della legge n. 194 del 1978), comportando gravissime conseguenze per essi sul piano psichico e della qualità di vita.

IL RICORSO AL TRIBUBNALE -  Il Tribunale di Brescia allora accolse la domanda di risarcimento dei genitori, rigettandola invece per il figlio. Le cifre erano state riconosciute  a titolo di risarcimento del danno per perdita di chance, ovvero perdita "della possibilità di valutare le due alternative oggettivamente possibili e di scegliere  liberamente quella, comunque dolorosa, ma meno grave".

LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO – La corte di Appello aveva invece ribaltato la sentenza, ritenendo che i ricorrenti non avrebbero potuto provare che, anche qualora informata delle malformazioni del concepito, si sarebbe determinato un grave pericolo per la salute della gestante e che la stessa gestante avrebbe deciso e  ottenuto di interrompere la gravidanza. In pratica, richiedendo il risarcimento, è necessario provare che, in possesso di tutte le info riguardanti l’anomalia fetale, avrebbe esercitato facoltà di interrompere la gravidanza. E come si può provare tale evenienza? Quest'onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base  a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico  funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico - fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, ad es.. che la donna non si sarebbe  determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.  
La Corte aveva quindi riconosciuto un minor danno derivante dalla compromissione del diritto dei genitori a essere informati della malformazione del nascituro per prepararsi, psicologicamente e materialmente, all’arrivo di un bambino con disabilità. La Corte aveva invece escluso il risarcimento di un’ulteriore somma a titolo di perdita di chance perché le malformazioni del bambino sono meramente scheletriche e manca la prova che la signora avrebbe deciso per l’interruzione di gravidanza se fosse stata informata dopo l’ecografia.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE - Ricorsi alla Suprema Corte, la  Cassazione ha invece ricordato che la giurisprudenza non richiede, per procedere mediante presunzioni, che ci si trovi di fronte ad una malformazione grave, nè tantomeno che questa patologia affligga necessariamente le capacità intellettive del nato.
Nel rigettare la sentenza della Corte d’Appello, la Cassazione ha affermato che la Corte bresciana, pertanto, avrebbe dovuto limitarsi a giudicare non della natura delle malformazioni o della loro gravità, ma unicamente della rilevanza delle stesse quale probabile causa di pericolo per la salute fisica o psichica della gestante. La legge sull’aborto (L. n. 194 del 1978), invece  all’art. 6, lett. b è espressamente previsto che idonei a determinare "un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" che legittimi l'eccezionale possibilità di farsi luogo, dopo i primi 90 giorni di gravidanza, alla relativa interruzione, sono "rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro", e nel caso in oggetto queste sono, secondo la Cassazione,  sicuramente sussistenti nel caso del F., nato privo di entrambi gli arti superiori.
Per questi motivi la Cassazione ha riconosciuto il diritto al danno da perdita di chance ai genitori del piccolo.

Per approfondire
Il testo  della sentenza 25849/2017


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Redazione

 

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