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Per una emergenza globale che interessa soprattutto la popolazione anziana, il trattamento della depressione potrebbe fungere da protezione contro la demenza

Curare la depressione per prevenire demenze – rallentando così l’avanzata dell’Alzheimer?  E’ questa l’ipotesi che si fa strada tra alcuni studiosi e che è stata discussa nei mesi scorsi nel corso del convegno 'Memory in the diseased brain', promosso dall'Accademia Pontificia delle Scienze, che si è svolto in Vaticano presso la Casina Pio IV.

La considerazione parte dall’aver osservato che la depressione risulta essere fattore di rischio per alcune malattie cronico degenerative che interessano in particolare le persone anziane, tra le quali demenze e, appunto, Alzheimer, che ne è la forma più diffusa. Con una incidenza in costante aumento (il trend di crescita è di cinque milioni di persone all’anno, nel mondo),  la demenza sta diventando uno dei principali problemi di salute pubblica globale. La previsione è quella di superare i 75 milioni di malati di demenza nel  2030, mentre in Italia si stima che la demenza colpisca oggi oltre un milione di persone (di cui circa 600 mila affette da Alzheimer).
L’incidenza sempre maggiore della patologia è riconducibile anche all’invecchiamento della popolazione, poiché il declino cognitivo è correlato all’età, interessando il 50% degli ultra 90enni. Ma, come ben sappiamo, anche gli stili di vita e altri fattori – come la compresenza di diabete, fumo, obesità - concorrono alla sua diffusione.

 

In che modo, quindi, intervenire sulla depressione potrebbe limitare questa ondata in crescita? "L'ipotesi- spiega Marco Andrea Riva, del dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell'Università di Milano all’Agenzia Dire www.dire.it  - è che trattare la depressione possa diminuire l'incidenza di demenza e che gli antidepressivi non siano una terapia per l'Alzheimer, ma rappresentino una forma di 'protezione'. Il trattamento per la depressione, infatti, ha un effetto sia sul recupero del 'funzionamento' individuale e sociale dell'individuo sia di stimolo sulla plasticita' cerebrale e la creazione di nuovi connessioni grazie a un'azione neurotrofica che stimola la produzione di fattori di crescita".

I nuovi farmaci antidepressivi multi-modali hanno un meccanismo di azione "diverso rispetto a quelli tradizionali- prosegue Riva- non solo aumentano i livelli sinaptici di serotonina, ma modulano significativamente anche altri neurotrasmettitori, con un'attivita' importante su due aree cerebrali: l'ippocampo e la corteccia prefrontale. Il risultato e' sia una modulazione del tono dell'umore che il miglioramento dei sintomi cognitivi (memoria, attenzione, focalizzazione)".

 

 

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Redazione

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