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I giornali spesso usano termini vecchi o impropri per trattare la disabilità. FIABA lancia la proposta di una carta deontologica che aiuti i giornalisti ad utilizzare parole consone

Lo diciamo spesso: le parole costruiscono al realtà. Nel rappresentarla, le parole possono costruire ponti, o possono contribuire a distruggere le persone. Le parole sono strumenti, e come tali coloro che le utilizzano -  soprattutto in ambito professionale - devono farne un uso consono, appropriato e rispondente alla realtà.

GIORNALISTI E DISABILITA’ - Rispetto alla disabilità, nel settore dell’informazione  e della comunicazione si registrano ancora delle prassi non eccellentipietismo, buonismo o sensazionalismo sono spesso il registro che accompagna e permea le notizie che la stampa e i media generalisti utilizzano per raccontare fatti ed eventi che riguardano persone con disabilità. Per iniziare a scardinare questo sistema, e dare ai professionisti del settore degli strumenti per  correttamente approcciare e soprattutto raccontare la disabilità, si è svolto nei giorni scorsi un Seminario di formazione per giornalisti organizzato in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti del Lazio, aperto dalla Presidente Paola Spadari.  Alla base, la proposta di FIABA di una nuova “carta deontologica” per i giornalisti, che li “guidi” nel parlare correttamente di disabilità, che ha ricevuto  l’adesione di disabili.com, Unitalsi, Comunità di Capodarco, Rete Sole, Sanità Informazione, CESV, FNSI e ODG Abruzzo.

LE PAROLE DELLA DISABILITA’ - La parola handicap (originariamente la “zavorra di piombo che serviva a livellare la differenza di peso dei fantini nelle corse di cavalli”), che negli anni ’80 è stata accolta come innovativa, attualmente è percepita come insulto (sondaggio rivista Focus, 2009). Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha completamente cassata da ogni documento: l’Italia non ha ancora formalmente recepito la nuova classificazione delle disabilità che sostituisce la sequenza menomazione-disabilità-handicap con funzioni corporee - attività personale -partecipazione sociale. E non lo ha fatto neppure la narrazione giornalistica italiana. Non serve arrivare ai vari “menomato” o “handicappato” – decisamente denigratori: quante volte si legge in un articolo“costretto sulla sedia a rotelle”?  Ma perchè la carrozzina non viene rappresentata come uno strumento che permette di fare tante cose, altrimenti impossibili? In quest’ottica è un ausilio insostituibile e importantissimo., mentre scrivere “costretto su una sedia a rotelle” suscita un pietismo davvero fuori luogo.

BUONE PRATICHE  NELLA NARRAZIONE DELLA DISABILITA’ -  Inoltre, il Testo Unico dei Doveri del Giornalista riporta all’articolo 6: “il giornalista rispetta i diritti e la dignità delle persone malate o con disabilità siano esse portatrici di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali”.  
A seguito del Seminario di formazione tenutosi ad aprile ad Avezzano (dove i presenti hanno votato favorevolmente la proposta), FIABA aveva chiesto all’ODG Abruzzo di presentare le proprie istanze al CNoG (Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti), chiedendo che il Testo Unico sia epurato dall’espressione “menomazione” e si apra un tavolo per la stesura di buone pratiche nella narrazione giornalistica sul tema della disabilità. Anche la Presidente Paola Spadari ha annunciato che si farà carico di queste richieste presso il CnoG.

In disabili.com:

La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione

Un’offesa a una persona con disabilità è un’offesa a tutti

Redazione

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