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“Spesso i genitori non sanno come approcciarsi, come gestire le difficoltà e capita non di rado che le mamme si facciano sensi di colpa, interrogandosi sul futuro del proprio figlio. La paura di fondo è proprio quella di non riuscire a gestire la quotidianità”


Una tempesta di emozioni, un terremoto emotivo, uno sconquasso che raggiunge tutti i componenti della famiglia. Succede tutto questo quando un nucleo famigliare viene raggiunto dalla notizia della disabilità di uno dei propri figli.

La nascita di un bambino con una malattia è un momento delicato e difficilissimo, nel quale i genitori   - ma anche  i fratelli e le sorelle e tutti gli altri, più o meno stretti parenti - si trovano a dover far fronte a un difficile raccordo tra il figlio (ma anche il fratello, il nipotino) immaginato e quello reale. Inizia quindi un percorso di accettazione nel quale i genitori possono naturalmente e giustamente sentirsi smarriti: come fare ad affrontare questa nuova sfida? Da che cosa partire per ridefinire l’idea che ci si era fatti di questo figlio, e ma anche ridefinire i piani e i progetti, l’organizzazione stessa dell’esistenza?

Per accompagnare i genitori nel delicato momento dell’arrivo di un figlio con una disabilità visiva o patologia della vista, è nato il progetto “Stessa strada per crescere insieme”, realizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) e dall’Unione italiana Ciechi ed Ipovedenti (UICI).  150 psicologi e psicoterapeuti  in tutta Italia sono stati formati allo scopo, coadiuvati dalle Unioni Ciechi regionali e dagli Ordini degli Psicologi, per fornire un sostegno psicologico alle famiglie e creare rete con gli ospedali, in particolare con le neonatologie, le neuropsichiatrie infantili, i centri di riabilitazione, i medici di base e i pediatri.
L’affiancamento dei professionisti mira ad aiutare le famiglie a comprendere che "la perdita della funzionalità visiva, seppur importante in una società basata sull’immagine e sull’apparenza, non pregiudica la conduzione di una vita piena e appagante da parte del soggetto disabile”.Adriano Gilberti in giacca e cravatta

Per avvicinarci a queste delicate dinamiche, e sapere in che modo si esplica il progetto e l’intervento dei professionisti, abbiamo fatto qualche domanda ad Adriano Gilberti, presidente di UICI Piemonte

Come nasce l’idea di un supporto psicologico ai genitori che accolgono un bambino con patologie della vista? Quali i disagi e le paure maggiori riscontrate in queste mamme e papà?

Il progetto nasce da un fatto oggettivo: nelle famiglie in cui nasce un bimbo con disabilità visiva subentrano il panico e la paura. La mamma e il papà si interrogano sulle necessità basilari del bambino e la vista è un senso importante. Spesso i genitori non sanno come approcciarsi, come gestire le difficoltà e capita non di rado che le mamme si facciano sensi di colpa, interrogandosi sul futuro del proprio figlio. La paura di fondo è proprio quella di non riuscire a gestire la quotidianità. Spesso è difficile "entrare"  in queste situazioni, nel senso che alcune famiglie rifiutano di accettare il problema e di farsi aiutare. Da qui l'idea di costituire un team di psicologhe per fornire supporto e non lasciare solo nessuno.

Leggo che il progetto è rivolto non solo ai genitori, ma anche ai fratelli, con il coinvolgimento quindi di tutta la famiglia. In che modo questo intervento abbraccia tutto il nucleo familiare?

Tutti i componenti della famiglia devono essere coinvolti, affinché tutti si rendano conto delle necessità del nuovo arrivato in famiglia, che ha certamente peculiarità e bisogni diversi dagli altri. Il rischio è che i fratelli vivano la presenza di un fratello disabile come un peso: c'è il rischio di un'eccessiva responsabilizzazione dei figli sani, possono nascere gelosie, bisogna affrontare i pregiudizi e la vergogna. L'obiettivo è quello di creare un giusto equilibrio tra le mura domestiche: l'aiuto dei fratelli è importante ma è necessario creare una situazione di equilibrio e di accettazione consapevole. I fratelli sono poi quelli che, per primi, possono favorire il successivo inserimento sociale del ragazzo disabile, di presentarlo assieme ai genitori alla comunità. In ogni famiglia, ciascuno ha un ruolo e l'accettazione e l'inserimento nella società passano prima di tutto dall'aiuto e dal supporto del nucleo famigliare. I genitori, al contempo, dovranno trovare spazi e tempi anche per i figli sani.

Cosa si può fare, nella quotidianità di chi è accanto a queste famiglie (penso a parenti e amici), per supportarle di fronte a eventi traumatici come la nascita di un bambino con disabilità visive?

Prima di tutto è fondamentale una sincera e piena accettazione del problema: l'informazione è importante, non servono pietismi. Perché il bambino cresca bene la famiglia deve essere serena e i primi elementi della comunità ad accettare il problema devono essere proprio parenti e amici. La famiglia deve sentirsi protetta dalla rete dei parenti e degli amici. Protezione però non significa chiusura, ma presenza. Sulla famiglia allargata (i parenti) si lavora come si fa con i genitori, con la scuola ecc. affinché l'approccio con il ragazzo disabile sia lo stesso. Agli amici si cerca di far capire che il ragazzo è uguale agli altri, semplicemente necessita di strumenti maggiori o diversi rispetto agli altri. Il rapporto deve essere il più possibile naturale, la disabilità visiva va fatta conoscere sia nei limiti sia nelle potenzialità: penso ad esempio al lavoro svolto sui banchi di scuola, dove l'argomento disabilità visiva va affrontato con il coinvolgimento dell'interessato, senza finzioni o pudori. Il disabile è una persona sensibile, in grado di captare il disagio

Leggo che “Vogliamo creare una rete che sostenga i genitori ma l’obiettivo finale è quello di aiutare il minore a vivere una vita il più possibile autonoma e soddisfacente”. Come vi proponete di farlo, con questa iniziativa?

Bisogna stimolare il bambino in tutto e per tutto, occorre che il piccolo viva la sua vita liberamente senza veti. Ma siccome le difficoltà non mancano e vi sono problemi quotidiani, ma per fare questo occorre essere formati e informati. Per consentire al più piccolo una vita autonoma e soddisfacente dobbiamo spiegare questi concetti al nucleo famigliare. I bambini vivono all'interno di un contesto sociale e famigliare: se i genitori tendono a essere iperprotettivi, a sovrastimare o sottostimare le loro capacità, i bambini non possono essere protagonisti della propria vita e non riescono a sviluppare le loro capacità e la loro autonomia. Ecco perché, con il team di psicologhe, lavoriamo anzitutto sulle famiglie.

Come fare ad accedere a questo percorso di supporto? Quali gli ospedali e gli enti aderenti e gli step per rientrare in questo percorso di sostegno? Quali i costi?

L'obiettivo finale del progetto è proprio quello di creare le reti con i pediatri e con gli ospedali del territorio, in particolare le neonatologie infantili. Il progetto è alle prime battute e, per il momento, l'unico referente è l'Unione Ciechi. Per accedere a questo percorso di supporto occorre rivolgersi alle sezioni provinciali dell'UICI o alla sede regionale, che coordinano il progetto. Sul sito nazionale di UICI è disponibile un'apposita sezione al link https://www.uiciechi.it
La consulenza viene fornita in regime di convenzione a tariffe agevolate, variabili da regione a regione. La formazione degli psicologi è finanziata dall'I.Ri.Fo.R. l'Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione dell'UICI. A seconda delle esigenze che riscontreremo man mano sul territorio, organizzeremo attività specifiche (ad es. consulenze psicologiche di gruppo, serate e convegni informativi), per finanziare le quali bisognerà chiedere il supporto di enti e fondazioni, per il fund raising.

In disabili.com:

La malattia rara di mia figlia, la sua disabilità e quello che mi fa andare avanti
 
Cosa significa essere fratelli e sorelle di persone con disabilità
 
Francesca Martin

nella foto, Adriano Gilberti, presidente dell'UICI Piemonte

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