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IL BORSAIOLO

Come al solito ero seduta alla cassa della bella pasticceria del centro dove lavoravo da qualche mese.
Da qualche giorno veniva a bere il caffè uno straniero che mi faceva un po' paura, era molto alto, gli mancavano due denti, era vestito senza gusto e parlava a voce troppo alta, stonava proprio con l'ambiente raffinato del locale, ogni tanto picchiava forte sul bancone, dava mance esagerate e poi si metteva a ridere da solo.
Anche il barista era a disagio quando entrava lo strano tipo, che, a volte, sembrava ubriaco di prima mattina, ci guardavamo alzando le spalle e sorridendo con complicità e, quando il tipo se ne andava, si tirava un sospiro di sollievo.
La sua presenza metteva a disagio anche i clienti abituali, ma poiché non faceva nulla di male, non potevamo allontanarlo, né chiedergli di non venire più.
Il barista mi prendeva in giro e affermava che il tipo strano veniva per farmi la corte.
Eravamo amici col barista, era un uomo anziano che aveva fatto il barista tutto la vita, non si era mai sposato e non era neppure gay.
La sua vita privata era un mistero per tutti, eppure ogni tanto nominava un figlio, ma nessuno sapeva né di chi era né dov'era, e, pur essendo sempre sorridente, sembrava dire a tutti con lo sguardo: "fatevi i fatti vostri".
Le sue battute sul mio strano corteggiatore suscitavano l'ilarità dei presenti e stemperavano l'imbarazzo che lo strano personaggio portava con sé.
Un giorno mi portò una rosa ed i sospetti del barista presero corpo, era buffo quel tipo grande e grosso con una rosa in mano, mi fece persino tenerezza quando mi fece quello strano sorriso cui mancavano due denti.
Da quel giorno iniziò a portarmi qualcosa ogni giorno, una volta una moneta del suo paese, un'altra volta un francobollo curioso, piccole cose che non mi sentivo di rifiutare per non offenderlo.
Perciò non mi stupii più di tanto quando mi regalò un portafogli usato, il pensiero che fosse rubato mi passò per la testa, ma, non sapendo che fare e che dire, lo accettai e, per farlo contento, vi infilai qualche banconota per dimostrargli che avevo apprezzato il regalo.
In quel momento il direttore del locale mi chiamò per comunicarmi una variazione sui miei orari di lavoro, protestai un poco, ma alla fine accettai il nuovo orario e tornai alla cassa brontolando mentalmente.
Istintivamente cercai il portafogli che mi aveva regalato lo straniero.
Non c'era più, nella pasticceria a quell'ora non c'era nessuno e l'ultimo cliente era stato proprio lo straniero, non poteva essere stato che lui, aveva visto perfettamente dove l'avevo messo.
"Non può essere andato lontano", pensai e chiedendo al barista di dare un'occhiata alla cassa, corsi fuori per vedere se era ancora nei paraggi.
In quel momento stava entrando un vecchio tassista che passava tutte le mattine a prendere una pasta, lo conoscevo bene, mi aveva accompagnata gratis a casa più di una volta alla fine del turno.
Lo afferrai per il braccio e lo trascinai fuori, dicendogli: "presto, dammi un passaggio"
Vedendomi agitata l'uomo non protestò e si rimise al volante del taxi fermo in doppia fila "dai metti in moto, quello stronzo è a piedi, non può essere andato lontano"
Ricordai che un giorno aveva nominato una bisca e, senza esitare, chiesi al tassista di andare verso la bisca, l'unica che funzionasse a quell'ora.
Io credevo che la bisca fosse un locale dove giocavano senza autorizzazioni, invece scoprii che la bisca era il sottopassaggio della metropolitana.
Il tassista cercò di dissuadermi, lo pregai di accompagnarmi, ma rifiutò.
"mica sono matto ! contro quelli non mi ci metto davvero!".
Non lo lasciai finire, scesi dal taxi e mi precipitai giù per le scale della metropolitana, correvo senza sapere neppure dove stessi andando e, finalmente, lo vidi.
C'era un piccolo capannello di uomini, il mio straniero si evidenziava tra loro per la statura e per il suo modo di ridere rumorosamente.
Lo vidi lanciare i dadi ed il nostro sguardo si incrociò.
Non appena mi vide, cominciò a correre, ma io, furiosa, pur capendo che non lo avrei mai potuto raggiungere, mi misi a correre dietro a lui.
La nostra corsa, ad un osservatore esterno, doveva apparire ben strana, prendevamo a spintoni la gente che ci veniva incontro e non ci curavamo degli insulti che ci venivano rivolti.
Stavo per fermarmi, senza fiato, quando vidi la mia preda girarsi, venire nella mia direzione mettere un dito davanti alla bocca come a farmi tacere.
Non so se, durante quell'assurda corsa avessi gridato o no, se lo avevo fatto certo non mi aveva dato retta nessuno.
Quando lo raggiunsi il ladro continuava a farmi cenno di tacere: " buona, buona", diceva piano tendendomi qualche banconota.
Presi il denaro, lo contai, mancavano 10 euro, glielo dissi: "li ho giocati rispose, era la prima puntata che ho fatto", rispose quieto quieto.
Mi sorpresi a chiedergli il portafogli. "L'ho buttato", disse.
La cosa mi infastidì, oramai era mio anche quello e lui non aveva il diritto di buttarlo via, mi sorpresi a pensare.
Io stavo tornando indietro per tornare al taxi, non avevo neanche pensato di denunciarlo, ma lui mi seguiva come un cagnolino e mi aveva presa sotto braccio.
Mi divincolai. Ci mancava che andassimo a braccetto!
"Zitta, zitta, per favore, amici, cosa dire ad amici?
Io dire tu mia ragazza, arrabbiata perché io giocare, va bene?".
"Va bene brontolai", e passammo trionfalmente a braccetto davanti al capannello di uomini che aveva sospeso la sua attività per guardare la scena.
"Tutto ok, tutto ok", disse lui, "lei brava, un po' arrabbiata ma brava donna!".
Mi portò verso quegli uomini e mi fece stringere un po' di mani.
Probabilmente stavo conoscendo dei ladri e dei rapinatori.
Sorrisi, non so se a loro o di me stessa.
Finalmente mi liberò il braccio e mi salutò non senza baciarmi sulla guancia sussurrandomi "grazie, io ridare tutto!".

Per qualche giorno fui l'eroina del quartiere, raccontai la mia avventura decine di volte.
E tutti si complimentarono con me per il mio coraggio e la mia incoscienza.
La notorietà mi faceva piacere, sembrava che gli affari del bar andassero meglio ed ebbi persino un piccolo aumento.
Speravo che la storia non arrivasse a qualche poliziotto, non volevo denunciare quel disgraziato.
Fortunatamente non fu necessario ed anche quella storia fu dimenticata.
Passarono molti mesi, non saprei dire quanti, ed una mattina, vidi entrare il mio borsaiolo.
Era il giorno di riposo del barista e così non lo riconobbe nessuno.
Sorridendo con quello strano sorriso sdentato ordinò un caffè e, pagandolo, mi porse 10 euro
In più.
Da quel giorno non lo vidi più, ma, mesi dopo, qualcuno disse che la pasticceria doveva essere rapinata e che per uno strano caso qualche balordo si era opposto all'idea.
Forse era solo una chiacchiera...

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