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Una delle più “longeve” e vincenti atlete paralimpiche nell'atletica, nello sci di fondo e nel paraciclismo di sempre ha scritto la propria biografia insieme al giornalista Matteo Bursi

“La più grande atleta paraplegica della storia”: il noto giornalista Claudio Arrigoni ha definito in questo modo, durante il Festival della Cultura Paralimpica andato in scena lo scorso ottobre a Milano, Francesca Porcellato. Una delle più “longeve” e vincenti atlete di sempre (3 ori, 4 argenti e 8 bronzi alle sole Paralimpiadi) ha scritto la sua prima biografia a quattro mani con un altro giornalista, Matteo Bursi.

Il libro, edito da Baldini+Castoldi con la prefazione del Presidente del CONI Giovanni Malagò, ripercorre la vita sportiva e non della “rossa volante”, cosi come Porcellato è soprannominata (e così come è intitolata l'opera, ndr) per i propri meriti agonistici e per gli inconfondibili capelli ricci e rossi: A 18 mesi – ha raccontato – sono stata investita da un camion: miracolosamente mi sono salvata, ma da allora le mie gambe non funzionano più a causa della lesione al midollo spinale. La prima carrozzina, però, è arrivata solo a 6 anni regalandomi ali e libertà; proprio alla luce di questo, non la considero una costrizione ma un mezzo per fare quello che voglio e che mi ha permesso di realizzare il sogno di diventare atleta”.

Ad ispirare la Francesca Porcellato atleta è stata proprio la carrozzina: “Appena arrivata - ha poi spiegato – ho subito desiderato di farla andare il più veloce possibile, di fare atletica leggera e in particolare di correre i 100 metri. All'inizio mi allenavo da sola, nelle stradine dietro a casa dopo aver fatto i compiti, ma a dare il la alla mia carriera è stato un funerale a cui partecipavano alcuni ragazzi disabili: gli stessi, infatti, vedendomi uscire da un supermercato con le buste della spesa mi hanno avvicinato proponendomi di giocare a tennistavolo. Impuntandomi sull'atletica, sono subito scesa in pista e da lì non ho più smesso”.

Il grande salto è avvenuto, però, con la prima partecipazione alle Paralimpiadi, più precisamente a Seul nel 1988: “All'epoca - ha proseguito – eravamo abbastanza folkloristici e appariscenti, con carrozzine, protesi e stampelle decisamente più ingombranti e brutte rispetto a quelle di oggi. Nonostante tutto, eravamo felici ed entusiasti per la partenza: lo sport paralimpico, purtroppo, non aveva ancora ricevuto il riconoscimento internazionale che ha ora, tutto questo ci faceva arrabbiare perché la disabilità veniva sempre prima della persona anche attraverso l'utilizzo di terminologie forti come handicappato. Negli ultimi anni il movimento è cresciuto tantissimo e i nostri risultati vengono considerati quasi di pari livello con quelli degli atleti olimpici”.

Il percorso con l'atletica ha portato Porcellato a confrontarsi spesso con i 42 chilometri e 195 metri della maratona, sui tracciati più celebri del mondo: “Ho corso – ha ancora aggiunto - a New York, Boston, Londra e in moltissime altre metropoli, vincendo circa 70 gare su 100, ma il mio successo più significativo l'ho ottenuto a Cesano Boscone dopo un duello di oltre 20 chilometri con il vento contrario e le mani insanguinate. Vincere in quel momento difficile mi ha fatto capire di poter abbattere i miei limiti e mi ha fatto fare quel salto di qualità mentale per poter vincere altre medaglie in pista e altre sfide nella vita”.

A “minare” la storia d'amore con l'atletica ci ha pensato, però, una Paralimpiade Invernale: “Partecipare ad un'edizione dei Giochi in casaha commentato – era il mio sogno e il desiderio di esserci mi ha convinto a superare tutti i miei dubbi legati soprattutto alla lontananza dalle mie specialità. Tutto questo fino a quando non mi è stato proposto di provare lo sci di fondo perché ha una preparazione equivalente a quella delle maratone: in poco tempo sono riuscita a imparare e, in una sola gara, a qualificarmi a Torino 2006, arrivando ultima e penultima ma riuscendo a realizzare il mio sogno. Nonostante questo, non mi sono arresa e soffrendo e lavorando tantissimo quattro anni dopo è arrivata la ciliegina sulla torta: un oro alle Paralimpiadi di Vancouver 2010”.

A coronare una carriera straordinaria è, infine, arrivata un'altra avventura straordinaria con il paraciclismo, con una dedica speciale a uno dei simboli dello sport mondiale: “A propormelo - ha concluso – è stato il mio allenatore, nonché marito e principale sponsor, dopo i Giochi di Sochi 2014. Dopotutto, ho sempre utilizzato l'handbike per allenarmi durante il periodo estivo e come paraciclista non andavo affatto male: ho accettato la sfida e con una preparazione mirata è nata una nuova passione che mi ha portato a fare due Paralimpiadi vincendo 3 medaglie. Il mio pensiero, a proposito, non può non andare ad Alex Zanardi: ci manca tantissimo ed è stato bello condividere con lui, uomo vincente, spettacolare e carismatico, molti anni di attività. È stato soprattutto grazie a lui se si sono accesi i riflettori sullo sport paralimpico, mi auguro di rivederlo presto e gli auguro tutto il meglio”.

Marco Berton

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