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Sono la mamma di una splendida bambina di 11 anni affetta da sclerosi tuberosa.
Ma non è della malattia che vorrei parlare, anche se ci sarebbe da chiedere un maggiore impegno da parte della comunità scientifica verso quelle malattie, che definisco perle rare, ma che non sono di moda e non portano alcun vantaggio alle case farmaceutiche.

Ciò che vorrei rendere noto è la situazione scolastica e l'ipocrito concetto di integrazione.

Faccio una breve, ma doverosa premessa.
Sono contraria a tutte le etichette usate e continuamente cambiate, tipo handicappato, disabile, fino all'illuminante diversamente abile.
Chi abbiamo di fronte è una persona con una patologia di base.
E così ci può essere Mario affetto da diabete giovanile, malattia che condiziona tutta una serie di disagi nella vita quotidiana, tipo il controllo costante della glicemia, o Francesca affetta da autismo.
Ma si parla di persone, caratterizzate da un aspetto esteriore e da tutto un mondo interno, fatto di emozioni ed esperienze che meritano le giuste considerazioni.
Io mi rifiuto di definire mia figlia disabile, quando questo appellativo tende a classificarla in un gruppo a parte. Lei è diversa da tutti perché è lei!

Detto questo, ritorno al problema scuola.
Siamo arrivati al 2003, ed ancora noi genitori dobbiamo combattere con la carenza numerica e formativa degli insegnanti di sostegno.

Sembra che poi la nuova riforma scolastica porterà a bambini più proiettati verso l'Europa, rendendoli parte di questo villaggio globale.
Ma, per fare questo, occorre dare un taglio alle spese meno importanti: quelle che riguardano i diversabili.

Si riducono le ore dedicate alla loro formazione in rapporto 1:1 ed aumenta l'ansia del corpo docente, che non sa gestire la classe arricchita da quell'elemento così particolare.
Perciò il bambino viene abbandonato a se stesso o alle cure di una bidella paziente: scarabocchia, gioca, insomma né più né meno di ciò che farebbe a casa se venisse lasciato allo stato brado.

Ci sono genitori, economicamente più fortunati, che hanno pensato bene di far seguire privatamente il loro figlio da un insegnante, e solo così si sono potuti raggiungere obiettivi cognitivi importanti.
Ma la malattia o diversabilità non ha preferenze di casta, e coloro che non hanno le possibilità di organizzarsi al meglio sono destinati a raggiungere il minimo.
Non si dà loro alcuna chance di cambiare, di migliorare.

Non sarebbe meglio ripristinare la Rupe Tarpea, invece di nasconderci dietro un'ipocrisia che non dà spazio all'altro, sia esso di nazionalità diversa, di età diversa, o semplicemente malato?

E se la scuola elementare, per un verso o per l'altro, sembra galleggiare nel mare dell'insoddisfazione, si arriva alla scuola media e ci si trova di fronte ad un altro mondo, ancora meno preparato ad accettare questi ragazzi.

Sono passate due settimane dal primo suono della campanella ed ancora non si sa quale sia la strategia didattica da applicare.
Tutto dipende dal famoso "gruppo H" che dovrebbe essere indetto dalla ASL, ma quando?
Si parla anche di gennaio-febbraio. E fino ad allora che si fa?

In queste due settimane, mia figlia ha solo scarabocchiato due quaderni, cosa che non faceva dalla prima elementare.

All'esame di quinta, era riuscita a svolgere autonomamente un tema ed un problema.
Non sarebbe stato più logico farle ripassare alcune nozioni di quinta invece di lasciarla a sé stessa?

Sono tutte domande che mi pongo e che mi irritano, perché è così difficile per noi andare avanti e rendere autonomi i nostri figli, senza che ogni giorno non ci si impegni in una lotta con le istituzioni e con la mentalità della gente.

In una società tendente al bello assoluto, alla perfezione del corpo, all'egoismo, alla mancanza di affettività e di fantasia, ringrazio Dio di avermi fatta diversa.

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