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Da alcuni mesi l'Istituto Montecatone di Imola accoglie anche pazienti «non tipici» ai quali il Covid, nei casi più gravi, ha provocato una malattia infiammatoria che simula una tetraplegia e che necessita dello stesso livello di intensità e specializzazione per un difficile percorso riabilitativo

La lotta contro il Coronavirus e la sua espressione di Covid19 non è affatto finita, e purtroppo spesso non termina, nei casi di prolungate degenze nelle terapie intensive, con le dimissioni dall’ospedale. Il ritorno alla normalità da parte delle persone guarite dal Covid19 varia dalla gravità della malattia sviluppata, e in alcuni casi può richiedere diverso tempo: per questo motivo si parla di Long Covid. Molti dei guariti accusano stanchezza muscolare conseguente all'allettamento prolungato e, quale esito della polmonite interstiziale, difficoltà respiratoria – che persiste anche superata la fase acuta. Tuttavia, normalmente questa situazione può essere recuperata efficacemente con una riabilitazione ospedaliera o domiciliare.

In alcuni casi, invece, siamo in presenza di una Post Intensive Care Syndrome, spesso esito di degenze prolungate in terapia intensiva, caratterizzata da una situazione molto grave di compromissione delle cellule muscolari e nervose del sistema periferico. Il quadro clinico della PICS è quello di una polineuropatia, malattia infiammatoria di tipo sensitivo-motorio che simula una tetraplegia e che necessita dello stesso livello di intensità e specializzazione.

A parlarne è il Montecatone Rehabilitation Institute di Imola,
riferimento in Italia per la riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita, che si sta occupando anche del recupero di pazienti con con P.I.C.S non tipici ai quali il Covid, nei casi più gravi, ha provocato una malattia infiammatoria che simula una tetraplegia.

In Istituto giungono pazienti post Covid che necessitano di terapie mirate secondo un programma multidisciplinare personalizzato. In alcune situazioni a causa di un quadro clinico particolarmente instabile si impone il ricovero in Area Critica. Si tratta di «Situazioni in cui la possibilità di uno svezzamento dal ventilatore risulta scarsa – precisa Monika Zackova, direttore di AC di Montecatone – perché i polmoni non garantiscono scambi gassosi sufficienti. Trattandosi di pazienti estremamente fragili, qualunque ulteriore complicanza, soprattutto di tipo infettivo, può essere fatale». «Colpisce il sistema nervoso periferico – aggiunge Pamela Salucci, direttore della U.O. Gravi Cerebrolesioni Acquisite – complicando l'insufficienza respiratoria del paziente già compromessa dal Covid. Tutto ciò può comportare danni anossici o ischemici a livello cerebrale con alterazione della coscienza».

Se invece autonomi dal punto di vista respiratorio, i pazienti accedono direttamente alle Unità Spinale o Gravi Cerebrolesioni. Il tempo medio di degenza non è mai inferiore ai tre, quattro mesi. «Il quadro generale – osserva Carlotte Kiekens, direttore dell'Unità Spinale – è, nel caso del Covid19, appesantito da un indebolimento generale molto importante – e che spesso condiziona il percorso riabilitativo: la tolleranza allo sforzo, ad esempio, è molto bassa così come lo è quella di sopportazione al dolore. Anche il quadro psicologico, in taluni casi, può rallentare le attività riabilitative. Al ricovero – spiega Kiekens – vengono eseguite due valutazioni: la prima, complessiva, che include esami clinici e tecnici rilevanti, è indispensabile per completare la diagnosi di eventuali complicazioni; la seconda riguarda invece self-care e mobilità del paziente. Nella batteria dei test, considerato che un terzo dei pazienti può accusare disturbi cognitivi, di ansia o di depressione, è infine inserita la valutazione neuropsicologica cui si associa quella del logopedista per la deglutizione».

Il programma riabilitativo, preceduto da una valutazione multidisciplinare tra fisioterapista, logopedista e terapista occupazionale cui sono demandati compiti di ricondizionamento del respiro e tolleranza allo sforzo per ottenere un disallettamento quanto più precoce possibile – spiega Simone Rodio, fisioterapista – impone che sia stata raggiunta la stabilità clinica. Il supporto fisioterapico è orientato alla rieducazione respiratoria, alla deglutizione alla riattivazione muscolare globale e alla ripresa del cammino. Il fisioterapista si occupa di accompagnare per tempi crescenti la ripresa della seduta, la riduzione della faticabilità muscolare e l'ortostatismo. Il recupero motorio – conclude Rodio – accompagna la ripresa dell'autonomia della vita quotidiana e, quando possibile, l'obiettivo del cammino».

Redazione

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