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Scriveva Loris Bertocco: “Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale.”

La vicenda di Loris Bertocco, l’uomo che, in stato di gravissima non autosufficienza in conseguenza della sua tetraplegia e cecità, ha scelto  a 59 anni di terminare le sue sofferenze con il suicidio assistito in una clinica Svizzera mercoledì scorso, squarcia ancora una volta il velo su questioni che, se vogliamo essere un Paese civile, vanno affrontate ora. Ora.

Riceviamo una nota della FISH a riguardo, che pubblichiamo di seguito. A questo link, inoltre, trovate l’intera lettera scritta da Loris Bertocco prima di morire, che ripercorrse la sua vicenda umana fatta di passioni e soddisfazioni ma anche e soprattutto di disagi, difficoltà, ostacoli insormontabili e abbandono che lo hanno portato a questa scelta estrema.

Quando una persona con una fortissima voglia di vivere, protagonista di un lungo e straordinario impegno civile, lucidissima, ragionevole ed obiettiva decide di porre fine alla sua esistenza con dignità e determinazione, l’impatto sulle coscienze non può che essere sconvolgente. Lo è per chiunque, ma lo è ancora di più per il movimento delle persone con disabilità, visto che Loris Bertocco era uno di noi.
Loris, veneziano, prima tetraplegico poi cieco, al termine di una disperata battaglia ha preso la via, già percorsa da altri, della Svizzera scegliendo di porre fine alla propria esistenza in modo assistito. “Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale.”

Ma, coerente fino all’ultimo con un impegno civile che ha vissuto da protagonista per anni, ha lasciato un lungo memoriale, una testimonianza che Loris spera possa “scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario.”

La vicenda umana di Loris, l’esito della sua esistenza rappresenta una sconfitta ma anche una denuncia fredda ed impietosa dell’abbandono e della solitudine che troppe persone con disabilità vivono nel nostro Paese. Uno scenario in cui istituzioni lente, amministrazioni sorde, politiche inadeguate e distratte, le persone con gravi necessità di supporti intensivi non trovano risposta e, assieme alle loro famiglie, sono costrette all’isolamento e alla perdita della stessa dignità umana.
Nelle ultime parole di Loris troviamo puntuali e non rancorosi resoconti di disagio, difficoltà, ostacoli, porte chiuse, sostegni rifiutati. Responsabilità che verosimilmente rimarranno, ancora una volta, anonime, anche di fronte ad una morte annunciata. Che non sarà né la prima, né l’ultima se questa vicenda non contribuirà a scuotere le coscienze come Loris sperava.

Chi ricopre un ruolo politico o istituzionale, chi è responsabile dei servizi legga il memoriale di Loris e tragga da questa tragica lezione un insegnamento: non siamo una voce di costo, ma persone con dignità umana e con il diritto a vivere in modo non umiliante. E questo diritto umano non si garantisce a parole, ma con un costante e concreto impegno. Da subito.

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Redazione

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