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Quali dei principi enunciati dal documento cardine per i diritti fondamentali delle persone con disabilità sono realmente garantiti in Italia? A partire dalla vita indipendente, passando per il dopo di noi, per il riconoscimento dei caregiver familiari, per l’inclusione scolastica, la salute e i servizi, una analisi dalla Rete Superare

All’indomani di una ricorrenza importante, come quella dei 15 anni dalla ratifica italiana della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, caduta il 3 marzo scorso, con l'anniversario della L.3 marzo 2009, n. 18, qual è la applicazione di questo fondamentale testo nella legislazione nazionale, ma anche, e soprattutto, come si traduce nella vita delle persone con disabilità? Sono diritti rimasti su carta o stanno realmente migliorando la vita delle persone disabili e delle loro famiglie? Fa il punto la Rete SupeRare, di cui pubblichiamo, di seguito, un contributo:

“Il 7 marzo scorso l'Italia ha celebrato il 15° anniversario dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, testo di cui indubbiamente andiamo tutti fieri; abbiamo letto nella rassegna di stampa odierna fiumi di parole, fanfare e gridi vittoriosi per i diritti sanciti da quel testo.

Oggi però, come il 4 dicembre di ogni anno, le celebrazioni sono finite e noi ci chiediamo: quanti dei diritti sanciti nella legge n. 18 del 3 marzo 2009 sono ancora una chimera per le tante persone con disabilità? Questo è il giorno del risveglio, perché la Convenzione è un testo vivo che ci proietta direttamente in quella faticosa quotidianità che ogni giorno viviamo, spesso nel silenzio o con rassegnazione.

UNA ANALISI DEGLI ARTICOLI
Potremmo passare facilmente in rassegna i vari articoli, per dimostrare quanto siamo lontani da una piena applicazione di quel bellissimo testo, sarebbe un esercizio smisurato e allora preferiamo soffermarci su alcuni aspetti.

Vita indipendente, caregiver, dopo di noi
Il primo articolo che suscita la nostra attenzione è il 19: diritto alla vita indipendente ed inclusione nella società.
In questo meraviglioso articolo è garantita una vita indipendente ad ogni persona ed il supporto alla libertà di scegliere dove e con chi vivere, garantendo ad ognuno misure efficaci e gli indispensabili supporti ( compresa la necessaria assistenza domiciliare), affinché questo diritto possa essere pienamente soddisfatto. Non riteniamo servano parole o esempi per dimostrare che questo diritto è ben lungi dal potersi ritenere soddisfatto, guardiamoci intorno: quante persone con disabilità hanno la necessaria assistenza domiciliare? È triste da dirsi ma quella libertà di scelta è fortemente impattata da servizi di assistenza alla persona assolutamente insufficienti (ove presenti) , di qualità non sempre monitorata e spesso è il caregiver familiare a farsi carico di quelle che sono le reali esigenze ed a fornire i necessari sostegni alle persone non autosufficienti; lo fa quel caregiver familiare che non ha neppure il riconoscimento come figura, ora (dopo una condanna del Comitato ONU all' Italia) si sta lavorando sul tema per addivenire ad una norma nazionale che riconosca diritti e tutele oggettivi e soggettivi al Caregiver Familiare ma una domanda sorge spontanea: ci saranno risorse sufficienti per garantire quei diritti che verranno scritti? Per proseguire: di quale facoltà di scelta e vita indipendente vogliamo parlare se una volta venuto meno il sostegno familiare, si apre il grande buco nero sul domani, quel tanto blasonato "dopo di noi" che è ancor più una chimera per chi vive una condizione di disabilità in condizione di gravità ed è privo del sostegno familiare?
Dai dati ufficiali, emerge il grande dramma: attualmente sono circa 500mila le persone con disabilità grave che hanno una età compresa tra 18 e 64 anni e che quindi rappresentano la platea potenziale della legge 112/16. Di questi sono presi in carico (affettivi beneficiari ) circa 8300 persone. Queste 8300 persone sono nell’84% dei casi nella fase del durante noi, con pochissime strutture alloggiative concentrate in tre-quattro regioni del nord Italia. E gli altri? Dove sono? Da chi sono assistiti? Hanno scelto tutti un percorso di istituzionalizzazione? Quanto ha inciso la loro libera scelta nella condizione di vita che si sono trovate ad affrontare? In alcune realtà italiane non è neppure possibile presentare la domanda a valere sui fondi della 112, non lo dimentichiamo.


Diritto alla mobilità
Sempre leggendo il meraviglioso testo della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, arriviamo all' art. 20, dove sono previste misure efficaci a garantire alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile. Sulle barriere architettoniche potremmo scrivere un libro ma sarebbe veramente troppo lungo e scontato, oltre che triste. Passiamo allora a considerare un aspetto: può riconoscersi un diritto all'autonoma mobilità quello che vede una immensa differenziazione, a livello locale, nel riconoscimento del CUDE e dello stallo personalizzato a quelle persone che, pur non presentando problemi prettamente motori o che non presentino cecità, si trovano a non avere alcuna autonomia nel loro rapporto con la mobilità e la strada e che quindi hanno necessità di dover essere permanentemente assistite per compiere ogni atto della vita quotidiana? Abbiamo una nota del Ministero dei Trasporti, n 1467/16, per quanto riguarda la concessione del Cude, ma non è assolutamente sufficiente a fugare i dubbi interpretativi, sarà giunto il momento di riconoscere efficacemente la non autonoma mobilità al pari della non autonoma deambulazione?


Inclusione scolastica
Potremmo parlare dell' art. 24 della convenzione, l'inclusione scolastica, ci siamo occupati spesso del tema ma, malgrado sulla carta tanti diritti per una piena inclusione scolastica siano codificati, siamo ben lungi dal riconoscere ai nostri ragazzi i mezzi e gli strumenti necessari per una piena inclusione in quell' unico ambito di socialità alla pari che è la scuola, in troppe realtà siamo ancora veramente lontani dal mettere in atto quel necessario patto scuola famiglia, siamo lontani dal vedere quella piena corresponsabilità dell'intero corpo docente, siamo lontani da una vera programmazione personalizzata con il beneficio dei necessari mezzi e strumenti (basti vedere quanti ragazzi certificati raggiungono percentualmente il diploma) , siamo lontani dal riconoscere la persona come parte di un progetto ma siamo "troppo vicini al concetto di necessaria copertura delle ore", siamo lontani dal far entrare la scuola a pieno titolo in quel progetto di vita... potremmo proseguire a lungo...


Salute, abilitazione e riabilitazione
Non possiamo omettere di guardare agli articoli 25 e 26 (diritto alla salute e all'abilitazione e riabilitazione), cosa dire su questo? Meglio forse tacere, chiediamo a ognuno quali sono i tempi per la presa in carico, quali sono e come sono efficienti i servizi sanitari di prossimità, quanto si lavori sulla prevenzione. Leggiamo della necessità di garantire servizi e programmi complessivi per l’abilitazione e la riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell’occupazione, dell’istruzione e dei servizi sociali, forse è meglio non fare commenti. Basti chiedere ad esempio a ogni genitore di un minore con disabilità quale percorso ha trovato aperto davanti a sè quando è uscito da quella struttura sanitaria con una certificazione in mano, chi lo ha supportato nella costruzione di quel cammino verso una vita nuova che da quel giorno si è trovato a vivere, non ce lo nascondiamo: in quel momento inizia un percorso ad ostacoli e spesso la solitudine è il nostro compagno, ci si deve rimboccare le maniche e cercare autonomamente quelle risposte che non arrivano automaticamente.


Potremmo proseguire a lungo ma forse è opportuno chiudere una infinita carrellata per dire che il nostro auspicio sincero è che possa cambiare l'approccio culturale verso la disabilità, che si inizi a focalizzare davvero l'attenzione sulla persona e sui suoi bisogni, che si inizi a guardare concretamente a quel globale progetto di vita ed alla necessaria integrazione socio sanitaria, con la definizione di un vero budget di salute, che si inizi insomma a mettere al centro la persona più che tanti spezzettati proclami”.

Redazione

 
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