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I Lep sono i Livelli essenziali delle Prestazioni, ovvero gli standard minimi dei servizi che dovranno essere erogati e garantiti in tutte le Regioni. Una autonomia regionale potrà causare disparità per i cittadini più fragili, come quelli malati o con disabilità?

Lo scorso 23 gennaio è stato approvato in Senato il disegno di legge sull’autonomia differenziata, che traccia il campo dei confini sui quali le Regioni potranno ottenere maggiore autonomia in ambito salute, istruzione, ambiente, trasporti, ecc. Il ddl (che dovrà comunque passare alla Camera), viaggia in coppia con i LEP (Livelli essenziali delle Prestazioni), ovvero gli standard minimi dei servizi che devono essere erogati e garantiti in tutte le Regioni.
E’ proprio sui LEP e che si concentrano alcune preoccupazioni, stante in primis la difficoltà di stabilire quali sono, dal momento che significa sintetizzare diritti civili e sociali da garantire ai cittadini in indicatori e livelli di prestazioni misurabili, ma anche e soprattutto sulla loro erogazione ai cittadini.

A questo proposito, alcuni osservatori si dimostrano preoccupati dalle ricadute che l’autonomismo regionale potrebbe avere sulla reale distribuzione dei servizi ai cittadini, dal momento che le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni del servizi per l’utilizzo di quelle risorse sul proprio territorio. Il timore è che le autonomie regionali possano tradursi in disparità tra cittadini che vivono in una regione o un’altra.

RISCHIO DI SQUILIBRI REGIONALI
Tra questi osservatori, la FISH teme un “ulteriore squilibrio, con le Regioni più povere con minore capacità di spesa. E, tra queste, ci sono quelle del Mezzogiorno. I Lep devono essere garantiti, come dice la legge, in maniera omogenea in tutta Italia”.
L’assenza di risorse dello Stato, lasciando tutto alle risorse territoriali, non consentirà di garantire i servizi minimi, aumentando, di fatto, le disparità territoriali e tra i cittadini. Saranno i più vulnerabili, e tra loro le persone con disabilità, a pagare, ancora una volta, in termini di welfare e diritti. Come avevamo detto lo scorso anno sarebbe più giusto lavorare più che sull’autonomia differenziata, sull’autonomia solidale. In questo senso lo Stato dovrebbe sostenere le Regioni in maggiore difficoltà”. A dirlo il presidente di della federazione, Vincenzo Falabella.

DA ASSISTENZA A SINGOLA PRESTAZIONE
Sul rischio di disequità territoriali nelle cure che potrebbe portare con sé l’autonomia differenziata, anche l’Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) esprime forti preoccupazioni.
Francesco Perrone, Presidente dell’associazione, partendo da una considerazione sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), nati per definire quali cure garantire a tutti e diventati però criteri per giudicare l’efficienza dei servizi sanitari regionali e per stabilire quantificare la distribuzione del Fondo Sanitario Nazionale, si dichiara preoccupato dalla loro evoluzione in LEP. “Il sistema dei LEA non ha funzionato, ma la soluzione non può essere rappresentata dai Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che verrebbero introdotti con la legge sull’autonomia differenziata – dichiara Perrone -. “I LEP costituiscono uno svilimento e un’eccessiva semplificazione dei LEA. Dal concetto di assistenza si passa a quello della singola prestazione. Ma la cura dei pazienti oncologici è a 360 gradi e non si riduce a una somma di prestazioni, ad esempio alla sola somministrazione dei farmaci o alla possibilità di accedere tempestivamente a un intervento chirurgico. È un insieme complesso di elementi, che concorrono a risultati importanti, come la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti”.

RISCHIO DI COMPETIZIONE TRA REGIONI
Continua il Presidente AIOM: “Sappiamo che nella ricerca scientifica non devono esistere barriere. Solo la collaborazione e la coesione senza ostacoli consentono di migliorare la qualità delle cure. Questo è un principio cardine della nostra etica professionale, sia nell’assistenza che nella ricerca”.
L’autonomia differenziata aumenterebbe il divario già esistentespiega Francesco Perrone -. Oggi è già forte la concorrenza fra sistema pubblico e privato. Ma, con la realizzazione del regionalismo differenziato, è concreto il rischio che le stesse strutture pubbliche entrino in competizione fra loro e che le Regioni più ricche offrano ai professionisti migliori contratti e remunerazioni più elevate”.
Conclude Perrone: “Il Servizio Sanitario Nazionale è uno dei migliori al mondo, ma ha bisogno di ‘manutenzione’ e di essere difeso nella sua principale caratteristica, cioè l’universalismo delle cure (…) La via da seguire non va verso un regionalismo sanitario ancora più forte ma nella direzione di un potenziamento del sistema a livello centrale, a cui servono più competenze e risorse. Dall’altro lato, vanno realizzate le reti oncologiche regionali su tutto il territorio. Come reso noto nel recente rapporto di Agenas, esistono ancora disparità sullo stato di avanzamento e sulla efficienza delle reti regionali e quelle ancora lontane dalla realizzazione degli obiettivi organizzativi vanno supportate, più di quanto non sia stato fatto fino ad ora”.

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