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valentin bazzani di profiloL'autoironia e la consapevolezza di sé sono le prime armi per accettarsi e accettare la propria condizione di disabilità. Senza cadere nel pietismo o nell'autocommiserazione

 

Valentina Bazzani ha grandi ed espressivi occhi verdi e un'intelligenza che ti fa scordare dopo un secondo la sua “carrozza”, come chiama affettuosamente lei la sedia a rotelle. E' una giovane giornalista e scrittrice che vive e lavora in provincia di Verona e ha una particolarità: dall'età di 12 anni è sulla sedia a rotelle a causa di una malattia neuromuscolare che l'ha resa totalmente dipendente dagli altri.
Questo però non le ha mai impedito di correre dietro ai suoi sogni e cercare, con tutte le sue forze, di realizzarli. Tanto che, al momento, lavora per due uffici stampa e collabora con alcuni giornali locali. Senza però trascurare la promozione della ricerca sulle malattie rare: infatti è membro attivo della UILDM, l'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, in cui si cura sia la sfera medica che quella sociale dei membri.

Da un giorno all'altro la neuropatia ti ha cambiato la vita, come hai reagito a questo “piccolo terremoto”?
I primi anni non sono stati facili, anche perché un evento così ti sconvolge la vita e cambia totalmente la tua esistenza. Quindi la malattia rappresenta non solo l'incontro con il tuo fisico, ma è anche coinvolta tutta la sfera psicologica, morale e sociale in cui vivi: la tua rete familiare, le tue amicizie, tutto. Non ho reagito assolutamente bene anche perché in quell'epoca, in cui una bambina cresce, vedi le altre coetanee fiorire e le tue forze che stanno cedendo sempre di più e qualcosa sta cambiando completamente la tua esistenza. Sono stati anni difficili, in cui il mio unico obiettivo era la scuola. Avevo solo un paio di amiche vicino, che mi volevano veramente bene per quello che ero. Ho avuto però la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre spronata ad andare avanti e a fare una vita normale, come tutti i miei coetanei.

Valentina 1Come e dove hai trovato la forza di reagire e di accettare la tua nuova realtà?
Nella famiglia che mi ha sempre spronata a inseguire i miei sogni e a fare tutto quello che facevano i miei coetanei: coltivare una rete di amicizie, approfondire gli studi e inseguire i miei sogni. Perché è vero che sono sulla sedia a rotelle, ma anch'io ho i miei sogni e i miei interessi. Quindi mi hanno sempre incentivato ad andare avanti, soprattutto a fare in modo che io non mi chiudessi in me stessa, ma continuassi a frequentare il mondo. Questa è stata, secondo me, un'arma molto importante perché, se i miei mi avessero compatita o trattata da “poverina”, io mi sarei crogiolata nel mio nuovo essere, nella mia “sfortuna”.
Poi, nel 2003, ho conosciuto la UILDM. All'interno c'è un gruppo giovani, con ragazzi che hanno problemi simili ai miei e volontari nostri coetanei. Quindi ho potuto vivere nuove esperienze perché ho iniziato ad andare in vacanza da sola, assistita dai miei amici, a far serate, andare ai concerti, andare in discoteca o in pizzeria. E' stata la prima porta verso l'apertura al mondo.
Anche la fede è stata importante perché mi ha aiutata a dare un senso a quello che razionalmente non è spiegabile, quindi al perché della sofferenza del corpo.
Oltre a ciò mi ha aiutata il percorso fatto durante la tesi di laurea, dedicata a Viktor Frankl, che parla della sofferenza come possibilità di realizzare qualcosa di prezioso e di quanto sia importante l'atteggiamento che si realizza quando la vita ti sfida.

Sei giornalista e scrittrice, quindi una donna molto impegnata. Sei la dimostrazione che, anche se si è disabili, si può vivere e lavorare come tutti gli altri...
Sì, l'importante è non cadere nel vortice del vittimismo che tante volte ci tiene imprigionati. E' vero che la società ha ancora pregiudizi e barriere mentali molto pesanti da abbattere, però è vero anche che tanto dipende dal nostro atteggiamento. Quindi se noi abbiamo un'apertura positiva al mondo, di conseguenza avremo una risposta diversa.Valentina 2

Al lavoro hai dedicato parte del tuo secondo libro “Quattro ruote e tacco 12”. Quanto conta per te la professione di giornalista e cosa ti ha dato?
Per me è stato un sogno riuscire a diventare giornalista, proprio perché ci ho impiegato tutte le mie energie. Scrivere è sempre stata la mia passione tanto che, a 16 anni, avevo scritto “Una vita diversa”. In quell'epoca frequentavo ragioneria, per una scelta obbligata dal fatto che era l'unica scuola accessibile vicino a casa. Questo libro però mi ha invogliato a inoltrarmi in quella che oggi è la mia professione. Mi ha fatto capire che la mia strada non era quella giusta. Quindi dopo mi sono iscritta a Scienze della Comunicazione e, successivamente, a Giornalismo. Ho iniziato a collaborare con dei giornali e poi ho sostenuto l'esame da giornalista. E' una parte importantissima per me: è un sogno che avevo e che sto vivendo, che mi è costato tempo, fatica ed energia, però mi sta dando veramente tanto.

Altra parte fondamentale del tuo libro è il tacco 12, cioè la femminilità. Tu ami curarti e truccarti quindi, secondo te, le quattro ruote possono convivere facilmente con l'amore per sé stessi?
Il tacco 12 è un elemento simbolico e ironico. Proprio perché tante volte la donna con disabilità non viene mai vista come donna. E' tempo di cambiare prospettiva, di rivalutare l'essenza della persona e quindi la femminilità che c'è dietro a questa persona. Io ho questa battaglia da anni per il trucco, l'abbigliamento, il modo di porsi e di presentarsi. La disabilità non deve certo scalfire quella che è la femminilità di una donna, sia la componente effimera che quella psicologica e sociale. Tante volte, quando una ragazza è sulla sedia a rotelle, non viene vista come donna, fidanzata professionista o amica ma viene vista come l'eterna disabile. Quindi è tempo di cambiare. Il mondo sta andando avanti e io sono una donna come tutte le altre.

 


PER APPROFONDIRE

Se volete conoscere meglio Valentina Bazzani potete leggere il suo libro autobiografico “Quattro ruote e tacco 12. La vita come possibilità”. Valentina racconta, in maniera semiseria, la sua frenetica vita da giornalista, la malattia, l'accettazione, l'amore e gli incontri più disparati con i vari ”rospi”. C'è poi una parte dedicata alle interviste compiute nel corso degli anni. La prefazione è di Giovanni Allevi.

 

 


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Natasha Roveran

 

 

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