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Nella Giornata Internazionale delle persone con Disabilità, una piccola riflessione su cosa manca, ancora, a partire dagli sguardi quotidiani

Nella Giornata Internazionale per le Persone con disabilità abbiamo scelto di non fare articoli ad hoc: chi ci segue sa che raccontiamo quotidianamente delle leggi, dei numeri, dei diritti e delle iniziative riguardanti le persone con disabilità. Ma scegliamo oggi di raccontare, oltre a questo, cosa succede nella vita di tutti i giorni: cos’è la disabilità al di fuori delle leggi, delle statistiche, dei numeri e delle iniziative pro. La disabilità è la vita di tutti i giorni, ed è anche un brutto episodio in una pizzeria che non prende bene la presenza di quattro ragazzi con Sindrome di Down. Siamo ancora a questi episodi, sì.

A raccontarne è stato il Corriere ieri, che ha riportato di una brutta esperienza riferita su Facebook dalla mamma di un ragazzo con Sindrome di Down, avvenuto in una trattoria di Torino. Secondo quanto raccontato dalla donna, aveva provveduto lei stessa a prenotare un tavolo per 11 persone, specificando al telefono solo che uno di loro è celiaco. Al suo arrivo al locale, il gruppo composto da 4 ragazzi con Sindrome di Down e altre 7 persone che erano con loro si è sentito, per così dire, poco accolto: riporta il Corriere le parole della donna: «un tizio con la barba, si è avvicinato a me a ad un’altra mamma e ci ha detto, in maniera molto scortese, che dovevamo avvertire della presenza di 4 disabili perché il locale era piccolo, il sabato sera era pieno e loro non sapevano come gestirli. Una cosa che in tanti anni non mi era mai successa e che ci ha provocato un’amarezza incredibile», commenta.

I ragazzi, che sono autonomi e perfettamente in grado di mangiare da soli, hanno capito tutto e ci sono rimasti molto male. Sentendosi ripetere un’altra volta quel “non sappiamo come gestirli”, il gruppo si è alzato e se n’è andato, così come un’altra famiglia che, presente in sala, aveva assistito alla scena.
Alla fine la serata si è conclusa positivamente in un altro locale ma, certo, l’amarezza resta. Sono poi seguite le scuse, anche pubbliche su Facebook, da parte del titolare della trattoria, che ha ammesso l’errore e ha invitato per domenica pomeriggio i ragazzi nel suo locale.   «Non sono il mostro che dicono, abbiamo anche casi di persone speciali in famiglia, quindi non potrei mai aver rifiutato loro. Semplicemente, ho pronunciato una frase sbagliata che ha creato un malinteso», ha detto al Corriere, che lo ha raggiunto telefonicamente. Sempre al telefono, l’uomo ha voluto scusarsi anche con la donna e con i ragazzi, che hanno accettato le sue scuse.

Al di là del caso specifico, che non si vuol raccontare per mettere alcuno all’indice, rimane però l’amaro per questi episodi che ancora accadono. Per quel “loro”; per quel “non sappiamo come gestirli” senza neppure averli sentiti parlare, visti comportarsi, conoscerli minimamente.  Episodi che rilevano ancora una distanza percepita, spesso forte, da chi disabile non è, rispetto a loro.
Episodi, insomma, che ci fanno ancora una volta vedere come quello che manca - insieme, certo, a leggi, a fondi, a iniziative, tutti sacrosanti - sia ancora, nella vita di tutti i giorni e negli sguardi e nelle parole che ci sentiamo rivolgere, una maggiore partecipazione comune, un impegno ad avvicinare, un sano desiderio e voglia di non separare  ma conoscere, integrare, capire. Solo così ci saranno le condizioni e lo spazio per quella illuminazione forse banale ma necessaria e fondamentale, senza la quale continueremo  a dividere il mondo tra noiloro.

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Redazione


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