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Dopo il comunicato sullo studio dell’ISS e dell'Università Cattolica su una mortalità 10 volte superiore nelle persone con SD che abbiano contratto il Coronavirus, l’Associazione Italiana Persone Down scrive alle famiglie

Nei giorni scorsi è stato diramato un comunicato stampa relativo ad uno studio, pubblicato sull’American Journal of Medical Genetics e realizzato dall’Istituto superiore di Sanità e l’Università Cattolica, dedicato al “CoVID-19 e Sindrome di Down”, che ha rilevato come la mortalità per Covid-19 tra le persone con Sindrome di Down potrebbe essere stata fino a 10 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale.

I DATI DELLO STUDIO
Tra i dati dello studio, in merito ad una maggiore mortalità di persone con SD a causa del Coronavirus,leggiamo che: “Questi pazienti sono più suscettibili alle infezioni, sperimentano l'invecchiamento precoce di più organi e sistemi, sviluppano un ampio spettro di comorbidità, comprese endocrinopatie, malattie neurologiche, reumatiche, muscoloscheletriche. Inoltre, presentano spesso diverse anomalie anatomiche delle vie aeree superiori che aumentano la probabilità di ostruzione delle medesime vie aeree, una condizione che può predisporre all’ipertensione polmonare, che a sua volta può aumentare la gravità dell'infezione da CoVID-19”. E ancora: “In sintesi, le persone adulte con SD rappresentano una popolazione fragile e vulnerabile alle infezioni e pertanto da tutelare con estrema attenzione in questa fase epidemica – dichiara Emanuele Rocco Villani, dottorando di ricerca in Scienze dell’invecchiamento all'Università Cattolica e primo autore della ricerca - . Le persone con SD rientrano dunque nella fascia di popolazione per cui l'accesso al vaccino per SARS-COV2 dovrà essere prioritario, nel momento in cui esso sarà finalmente disponibile”.

IL COMMENTO DI AIPD
Questo dato ha quindi portato un certo allarme tra le famiglie con persone con Sindrome di Down. Ed è a queste famiglie che si rivolge Tiziana Grilli, Presidente di AIPD (Associazione Italiana Persone Down) in una lettera nella quale si precisa che dalla ricerca emergerebbero dei precisi elementi a determinare una mortalità per Coronavirus più elevata nelle persone con SD, ovvero: l’età superiore ai 50 anni, essere affetto da numerose patologie preesistenti non risolte, avere una condizione di demenza e non risiedere in famiglia.
Così la lettera della Presidente Grilli: Vorrei tranquillizzare le famiglie e tutte le persone con SD sul rischio di aumentata mortalità da COVID-19 per chi si dovesse contagiare avendo la Sindrome. Il Consulente Scientifico pro-tempore Prof. Bazzocchi ha contattato alcuni degli Autori, il Dott. Carfì ed il Prof. Onder, della ricerca pubblicata sull’American Journal of Medical Genetics che ha motivato il comunicato stampa congiunto dell’Istituto Superiore di Sanità e del Policlinico Gemelli, comunicato che ha poi portato all’uscita di diversi articoli sulla stampa, e ad interventi in trasmissioni televisive, che hanno allarmato per la notizia di una particolare gravità della infezione da COVID19 nelle persone con SD.
Si è condiviso con questi Ricercatori che il dato consegue ad un’analisi statistica estrapolata da soli 16 casi di persone con SD decedute in Italia, confrontati con i dati di oltre 3400 schede di decessi di persone senza la SD. Ciò che risulta determinare la mortalità più elevata nella SD sono l’età superiore ai 50 anni, essere affetto da numerose patologie preesistenti non risolte, avere una condizione di demenza e non risiedere in famiglia.
Si tratta quindi di conclusioni interessanti sul piano scientifico, che tra l’altro sono in linea con i risultati di uno studio più ampio, condotto con il metodo della survey dalla società scientifica T21RS su 577 persone con SD che hanno contratto l’infezione da COVID19 in vari paesi tra Europa, Asia e Americhe, ed a cui abbiamo aderito anche come AIPD, contribuendo alla diffusione del questionario di rilevamento. Si tratta di risultati rilevanti per richiedere l’attenzione delle istituzioni sanitarie su una possibile peculiare fragilità della SD alle infezioni respiratorie e non solo, ma non hanno un significato di dover modificare il comportamento quotidiano, le abitudini dei nostri figli secondo le misure anti-contagio COVID19 consigliate per tutta la popolazione italiana. Continuiamo quindi senza allarmismi e preoccupazioni particolari, con la consapevolezza, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che la SD è una patologia che comporta sintomi e rischio di contrarne altre, e quindi come tale deve essere studiata, curata e seguita in Centri specialistici con percorsi dedicati”. 

Redazione

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