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La donna ha perso la causa per danni da parto mossa contro una clinica romana per la gravissima disabilità del figlio, nato con tetraplegia 34 anni fa. A rischio ora anche i servizi di cohousing de La Casa di Mario, promossi da Improta per il dopo di noi di altre persone con disabilità

E’ il quattordicesimo giorno di sciopero della fame per Elena Improta, 60anni, in protesta contro la sentenza che la condanna a pagare 300mila euro di spese legali a una clinica romana che aveva chiamato in giudizio per risarcimento danni da parto per la disabilità gravissima del figlio, nato tetraplegico 34 anni fa.

LA VICENDA
La vicenda si protrae da anni, iniziata quando Improta fa causa ai medici e alla clinica romana dove Mario è nato con una tetraplegia a causa di una mancanza di ossigeno in fase di nascita: condizione che, le dicono subito, lo renderà dipendente per tutta la vita dal suo supporto, dato che non parlerà né camminerà mai.
Improta chiama in causa appunto la clinica, ritenendo che ci siano delle responsabilità mediche. La causa civile si prolunga per 27 anni, in tutti i gradi di giudizio, fino all’ultima pronuncia della Cassazione che dichiara non accertabile il nesso tra la disabilità di Mario e un errore umano. Improta è quindi costretta oggi a pagare le spese legali, che ammontano a circa 300mila euro.

VANI I TENTATIVI DI MEDIAZIONE
Si tratta di una cifra importante, che la famiglia di Mario dovrà rimborsare alla Clinica Mafalda, ma che non ha. Ci sono stati tentativi di mediazione, grazie ai quali le assicurazioni Allianz e Axa, coinvolte nel processo, hanno rinunciato alla loro parte di risarcimento spese, mentre la struttura ha accettato solo una rateizzazione della somma. La clinica ha rifiutato anche una proposta di mediazione avanzata da Don Luigi D’Errico, in qualità di referente diocesano della pastorale per le persone con disabilità.

LA CASA DI MARIO
La vicenda personale di Improta e della sua famiglia potrebbe ora mettere in pericolo anche il futuro della Casa di Mario, il progetto che Elena ha realizzato con la Onlus “Oltre lo sguardo”, di cui è presidente. Si tratta di un modello di Dopo di noi basato sul Co-housing tra persone con e senza disabilità, che l’Associazione sta realizzando e co-finanziando in collaborazione con la ASL ed i comuni del territorio toscano, per garantire alle persone con disabilità un contesto di vita il più possibile simile alle condizioni dell’ambiente familiare di provenienza, evitando l’istituzionalizzazione.
Per sviluppare il progetto, Mario e la sua famiglia hanno messo a disposizione 2 appartamenti ad Orbetello: le due abitazioni sono contigue ad un terzo appartamento dove loro vivono stabilmente. In questo modo Mario e la sua famiglia, gli ospiti con disabilità e gli operatori professionali che li assistono condividono un contesto di relazione, organizzazione e spazi tipici di un nucleo familiare. Gli ospiti de La Casa di Mario svolgono quotidianamente le loro attività individuali e condividono gli altri momenti della giornata: risveglio, colazione, preparazione e uscita per le attività esterne, pranzo e riposo pomeridiano, laboratori e altre attività pomeridiane, cena e dopo cena, riposo notturno. La presenza della famiglia di Mario caratterizza questo modello, in quanto contribuisce a connotare il contesto come familiare, facilita la relazione con le famiglie di origine.
Gli operatori della casa di Mario si sono stretti intorno a Elena e alla sua famiglia, dimostrando solidarietà e non nascondendo la preoccupazione per il futuro del progetto.

APPELLO ALLA MINISTRA LOCATELLI
In questa situazione, Elena Improta in questi giorni ha scritto una lettera alla Ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, dove, alla luce della sua vicenda, si fa portavoce di una richiesta non tanto per sé, ma per tutti. Riprendiamo una parte dell’appello: “(….) Desidero portare alla Sua attenzione come questa nostra vicenda sia purtroppo rappresentativa di quanto accade quotidianamente a tante altre famiglie che, già profondamente toccate dalla vita, si rivolgono con sofferenza e fiducia al sistema giudiziario per chiedere giustizia per i loro cari con disabilità.
Processi che durano decenni, e condanne al pagamento di spese di giudizio astronomiche e punitive, mettono definitivamente in ginocchio quelle famiglie che hanno il coraggio e trovano le risorse per andare avanti, e dissuadono dal costituirsi in giudizio quelle che invece non trovano lo stesso coraggio e risorse. Ma soprattutto fanno sì che la legge non sia realmente uguale per tutti, laddove alle famiglie si contrappongano soggetti (ospedali, cliniche, assicurazioni) che hanno capacità e mezzi infinitamente superiori e tali da poter affrontare con tranquillità processi infiniti ed eventuali esiti sfavorevoli.
Mi appello a Lei affinché si possa sensibilizzare la politica su questo tema e si possano trovare strumenti di buon senso a tutela di queste famiglie già estremamente fragili, quali ad esempio priorità nella fissazione delle udienze, limiti alla quantificazione delle spese di giudizio, patrocini ai minimi”.

La lettera poi continua con un invito a un incontro con la stessa Ministra, anche per illustrarle il progetto della Casa di Mario, i cui sopiti ora guardano con incertezza al futuro.

Per sostenere la causa di Elena Improta è stata aperta anche una raccolta firme sulla piattaforma Change.org che si appella alle istituzioni per non chiudere La Casa di Mario.

EDIT 30 LUGLIO: La sera del 29 luglio signora Improta ha annunciato via Facebook di aver sospeso lo sciopero della fame, anche su consiglio dei medici che la seguono. Qui le sue dichiarazioni.

Redazione

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