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Il documento steso dalla commissione presieduta dal Professor Bertagna che delinea la nuova riforma dei cicli scolastici non fa alcun riferimento alle problematiche dell’integrazione di alunni in
situazione di handicap. La cosa sarebbe normale, trattandosi delle linee generali di una riforma globale se gli alunni con handicap si trovassero ancora nelle scuole speciali, cioè in un settore
specifico, isolato e del tutto marginale nell’mbito del riformando sistema-scuola. E’ vero che gli alunni con handicap frequentanti le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado statali e paritarie sono circa il 2% dell’ universo studentesco. Però stando al D.M. n. 141/99 che prevede la presenza di un solo alunno con handicap in una classe che non può superare i 25 alunni, la loro disseminazione nell’ambito della comunità scolastica investe circa il 50% delle classi (2% degli alunni, cioè 2 su 4 classi da 25 alunni ciascuna) e quindi di regola la totalità delle nuove istituzioni scolastiche autonome, come ridimensionate dal D.P.R n. 233/98. Così stando le cose il processo di integrazione scolastica degli alunni con handicap è ormai divenuto un elemento strutturale di tutto il sistema scolastico, dalla cui riforma non può pertanto essere ignorato, come è invece avvenuto sia nel Documento-
Bertagna e nella discussione culturale e politica che ne sta seguendo. L’ "invisibilità" degli alunni in situazione di handicap nell’ambito della discussione sul processo di riforma crea forte apprensione non solo nelle famiglie di tali alunni, ma anche in quanti operatori scolastici e del privato sociale, studiosi in campo pedagogico, didattico, socio-psicologico e giuridico hanno seguito attentamente
l’evolversi del fenomeno. Tale evoluzione non concerne solo l’aspetto quantitativo continuamente in crescita; nell’a.s. 2001-2002 gli alunni con handicap inseriti nelle scuole comuni sono oltre 130.000. Tale processo deve essere sempre più attentamente analizzato sotto il profilo qualitativo. La qualità dell’integrazione scolastica, infatti, deve considerarsi un aspetto ineliminabile della qualità del servizio scolastico, il quale, in forza del D.P.R. n. 275/99 andrà sempre più soggetto la valutazione secondo parametri oggettivi da parte di soggetti esterni alla scuola oltre che all’autovalutazione da parte degli operatori scolastici ed alla valutazione delle famiglie degli alunni. Se le linee di riforma che si profila sono orientate alla crescita di efficienza e di efficacia del sistema-scuola, l’individuazione di
appositi indicatori di qualità dei livelli di integrazione scolastica raggiunti o raggiungibili nelle singole istituzioni scolastiche autonome deve essere tenuta presente. Infatti ove anche alle modalità di integrazione scolastica degli alunni con handicap si applicassero gli indicatori attualmente in
uso nel progetto “Qualità della scuola” cioè le regole “Iso 9000” le scuole e le classi ove si attua l’integrazione scolastica verrebbero fortemente penalizzate. Infatti la scolarizzazione di qualità degli alunni con handicap comporta maggiori costi economici, tempi più lunghi e più complessa organizzazione dello spazio-tempo-scuola e, per gli alunni con handicap intellettivo anche profitti più bassi della media, secondo l’attuale valutazione legale dei titoli di studio. Ove invece si individuassero appositi indicatori di qualità che concernano non solo gli apprendimenti ma anche la “comunicazione”, la “socializzazione” , gli “scambi relazionali” quali elementi indispensabili per la crescita di questi alunni negli apprendimenti e nella loro personalità, come stabilisce l’art. 12
comma 3 della L. n. 104/92 , i calcoli cambierebbero. Infatti il livello medio di qualità raggiunto dalla singola istituzione scolastica potrebbe essere abbassato o innalzato a seconda del livello di qualità realizzata nell’integrazione scolastica degli alunni con handicap. Si aprirebbe così una positiva concorrenza tra le scuole statali e tra queste e quelle paritarie, non già per escludere la presenza di
alunni con handicap, quanto per realizzare i migliori livelli possibili di qualità, che, una volta valutati, innalzerebbero il livello medio di qualità di ciascuna istituzione scolastica. Tutto ciò è assente, come detto, dall’attuale dibattito culturale. Sorge allora un sospetto che un inciso del punto 5° del Documento-Bertagna sulla formazione degli insegnanti avalla, laddove si prevede che gli insegnanti per attività di sostegno dovranno operare sia nelle scuole comuni che “in scuole speciali e in scuole
particolarmente potenziate”. Il sospetto è che la logica della nuova riforma, a tutto concedere,
consenta solo l’integrazione scolastica di alunni con minorazione visiva (circa il 2% di tutti gli alunni con handicap inseriti), con minorazione dell’udito (circa il 7%), e con minorazione motoria
(circa il 15%). I restanti ¾ degli alunni attualmente inseriti, che sono portatori di disabilità intellettive, sembrerebbero destinati alle scuole speciali ed a quelle, apparentemente ordinarie, ma “particolarmente potenziate” ad accogliere solo alunni con handicap intellettivi e con minorazioni fisiche e sensoriali gravi. Certo, in tal modo i problemi che la scuola attiva e la riflessione
pedagogica e la ricerca didattica hanno affrontato e risolto in questi ultimi trent’anni, verrebbero agevolmente superati in una scuola efficentistica, competitiva e selettiva, con l’eliminazione dal suo seno della stragrande maggioranza degli alunni con handicap che hanno costituito una delle vere cause di ricerca e sperimentazione metodologica e di innovazione didattica della scuola. Vuole questo la Riforma Moratti? Né il Ministro, né il Professor Bertagna ci dicono chiaramente qualcosa su questo. Potrebbe aprirsi un dibattito culturale che permetta di conoscere il pensiero
di uomini di scuola più avvertiti e dello stesso Ministro?

Avv. Salvatore Nocera - Vice Presidente FISH, Responsabile del settore giuridico dell’Osservatorio dell’AIPD sull’integrazione scolastica e consulente giuridico presso la FIVOL

Nicola Quirico - nicola@disabiliforum.com

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