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LIBERO
Francesco Rossi

Questo è il primo racconto che scrivo... che ne pensate?


Finalmente! Mi sento libero...
Sono! libero.
Sì, libero da una vita che mi vestiva stretta da troppo tempo.
Adesso riesco a capirla perfettamente, quella sensazione diffusa, ma indefinita di disagio, di sofferenza, che a tratti mi colpiva.
A volte mi sentivo intrappolato, imprigionato, come se fossi stato rinchiuso in un'armatura di metallo, perfettamente aderente alla mia figura e fossi stato consapevole di non poterne più uscire.
Come se a pelle avessi avuto una  sorta di barriera che mi separava, che attutiva il mio vivere da qualunque esperienza, da qualunque sensazione e non me ne lasciava mai godere a pieno.
Ora d'improvviso tutto questo mi è chiarissimo.
Non so se avete presente la maschera di carnevale d'Arlecchino.
Provate ad immaginarvela, forse quello che tutti noi ci portiamo cucito addosso è un po' come quel costume, solamente che non ci sono i mille triangoli colorati, vivaci, sprizzanti, oh no, il nostro è tessuto di convenzione, stereotipo, pregiudizio, ipocrisia.
Un grandissimo filosofo, Rousseau, diceva: "L'uomo nasce libero, ma ovunque è in catene".
Un'immensa verità. Concordo pienamente e ciò che rende la faccenda ancora più  inquietante è che l'uomo, le catene se le costruisce con le proprie mani.
D'altra parte solamente la  perversione dell'essere umano poteva concepire uno stile di vita come quello moderno.
Ti fanno posare i tuoi piccoli piedini sulla terra e da subito, in maniera subdola, ti fanno capire che non potrai godertela, la vita, che non potrai vivere secondo le tue esigenze, i tuoi gusti, le tue aspirazioni.
No! Questo non è proprio possibile. Mille doveri, e che cazzo, mille-fottutissimi-doveri.
Appena arrivi alle scuole elementari iniziano ad inculcarti nella testolina che per essere persone rispettabili bisogna avere un lavoro.
Poi non si sa perché ti dicono anche che non è spregevole fare lavori umili come per esempio lo spazzino, e che anche quelli, al pari che ne so, del bancario, dell'avvocato, sono utili per la società.
Inoltre ti assicurano che non si giudicano le persone per il loro grado sociale, la loro posizione, il loro lavoro, ma con altri canoni di condotta come per esempio l'onesta, la bontà ecc.
Tutto è meravigliosamente chiaro, limpido, finché resti bambino però.
Il tempo invece passa, cresci, e un bel giorno ti domandi: "Siamo sicuri che è così?"
O meglio ancora "Siamo sicuri che la pensiamo sinceramente così?"
Beh, di certo tutto questo le vostre orecchie l'hanno udito, ma per qualche oscuro motivo sono poche le persone che non ti giudicano un pezzente se fai un lavoro umile e guadagni uno stipendio da fame.
Sono veramente poche.
Chissà perché in questo sordido meccanismo ci cascano tutti, proprio tutti, anche le stesse vittime, che spesso e volentieri si privano anche dello stretto necessario, per avere quelle indispensabili futilità che li fanno apparire normali, fuori della categoria dei morti di fame.
Non sono catene queste? Si che lo sono! Ma io adesso non le ho più.
La vita, allora diventa un'enorme convenzione.
Le sue regole sono inventate tutte dall'uomo, dalla prima all'ultima.

Ammetto che forse, tutto ciò dovrebbe servire a rendere l'incertezza dell'esistere un po' meno assillante, una difesa verso i misteri che opprimono la nostra ragione.
Non è così però, l'impalcatura che ci portiamo appresso diventa ogni giorno più pesante, diventa un fardello opprimente, non più una difesa, ma una pena.
Quello che è davvero irritante è che ti accorgi che la tua vita ha preso questa piega non per un'unica consapevole scelta, ma semmai è il risultato di varie piccole decisioni, che man mano hai imboccato, senza però farci troppo caso, senza dargli il giusto peso, di certo non nell'ottica giusta.
Non ti accorgi neppure di dove stai andando a finire, fin quando un bel giorno non apri gli occhi tutto insieme, e di solito questo avviene non per la sopraggiunta consapevolezza, improvvisa quanto inaspettata, no, solitamente è un evento negativo che ti porta a guardarti intorno.
Uno scossone e ti ritrovi orrendamente sobrio, fresco, come se ti fossi svegliato dopo un lungo sonno, un dormiveglia. Ricordi ogni particolare, ma  quello che ti è accaduto ti è scorso addosso come in sogno, ti sembra di non averlo vissuto veramente.
Purtroppo però lo hai vissuto eccome, male, ma lo hai vissuto.
Tutto quello che avresti voluto fare, semplicemente non lo hai fatto, non ne hai avuto il coraggio.
La tua vita, così come te l'hanno appiccicata addosso, come fosse carta moschicida, ti fa schifo e con disperazione ti accorgi che niente di ciò che rappresenti, di ciò che fai ha un senso.
Ah! Ah! Ah! Ah! Ormai questo però a me non interessa più, è un problema vostro che non mi tange minimamente.
Io sono libero, capito? LI-BE-RO!!
Posso andare dove voglio, non ci sarà la mancanza dei  soldi a frenarmi questa volta, mi divertirò quanto voglio.
Nessuno potrà più costringermi a fare cose di cui non me ne frega niente, nessuno.
Sono il padrone della mia vita al 100% adesso.
Spettacolare! Mi sento leggero, scarico davvero da ogni sciocca responsabilità.
E' meglio che non pensi a quante volte in passato non ho fatto una cosa, non perché la reputassi sbagliata, no, ma perché poteva essere malvista. Da chi? Ma da "loro" naturalmente. Gli Altri!
E non è folle se pensiamo che ognuno di noi è portato verso quest'immancabile ragionamento?
L'umanità è schiava di se stessa. Questa è la somma verità!
Non viviamo intensamente, ma semplicemente rotoliamo la nostra esistenza con il tempo, guardandoci con circospezione a vicenda, come quei bambini che un tempo si divertivano a far rotolare per strada i copertoni di bicicletta, aiutandosi con un bastoncino di legno, ognuno cercando di arrivare più lontano dei compagni.
Siamo morbosamente interessati a cosa fanno gli altri, oppure come in un film, proiettati verso l'esterno, nell'attesa di captare quello che gli altri pensano di noi, più che alle nostre vere ispirazioni.
Sacrifichiamo quotidianamente il nostro io solo per avere una parvenza di rispettabilità.
"Bravo ragazzo è quel Mario", oppure "E' un grande!". Questo è il pensiero che vogliamo navighi nella testa di chi ci accompagna, ma siete proprio sicuri che di voi, questa è la limpida verità?
Non vi prendono mai dei brividi, quando la mattina vi guardate allo specchio e per un attimo vi rendete conto di quale essere sta veramente dall'altra parte e magari notate il modo in cui quella faccia vi guarda?
Insomma non vi capita davvero mai di sentirvi in un modo e vedervi in un altro?
L'essere riflesso, sappiatelo, non siete voi, ma solo la parte che mostrate all'esterno, quella che apertamente interagisce con il mondo che sta fuori, con gli altri.
Più è grande il distacco tra voi e lui e più avvertirete, inevitabilmente, un esteso senso di disagio che vi opprimerà di giorno quanto di notte, causa di mille mali.
Almeno se avessi capito tutto questo quando ero ancora in vita!
Peccato che per comprendere tutto ciò, mi abbiano dovuto investire.
Non avrei mai creduto che sarei riuscito a vedermi morto.
E' un'esperienza maledettamente diversa.
Quella macchina mi ha ridotto proprio male però! E guarda quanti curiosi ho intorno.
Poverini, nelle loro facce vedo dipinto l'orrore per la morte, eppure è più forte di loro, non riescono a non guardare, devono vedere.
Ehi sciocchini, guardate che non è poi tanto male, anzi di qua ci si sente molto meglio, eh eh.
Un momento………….e quelli cosa?
No, non può essere. Dio ti prego, no, fai che non sia vero.
Sono orribili, che razza di creature sono quelle?
Vengono verso di me.
"Che cosa volete? no! no! Perché mi prendete, non potete, io sono libero adesso, libero".
"No! Dove mi portate? Io sono libero, liberoooooooooooooo".

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