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Il percorso ad ostacoli di un disabile che si avventura nei negozi dei centri urbani. Siamo sicuri che i comuni non possano fare di più? La mia esperienza per le strade di Pisa


 “Io posso entrare!” - L'adesivo col cagnolino è in vista, incollato sulla vetrina del bel negozio in centro. E' un adesivo che a me piace molto, in quanto non discrimina chi porta in passeggiata con sé il proprio amico a quattro zampe e non è di conseguenza costretto a legarlo fuori.
Poi lo sguardo mi cade verso il pavimento e noto con orrore il grande gradino che separa il negozio dal marciapiede. Io, con la mia carrozzina, NON POSSO ENTRARE.
E' qui che la rabbia mi morde al fegato, velenosa: si pensa a far entrare il cagnolino, ma non la persona disabile.

Ingoio pane e frustrazione, mi armo di coraggio e faccio quello che solitamente non si fa: CHIEDO SPIEGAZIONI. Con calma, senza dito puntato, la rabbia riposta in una tasca della carrozzina.
Siete pochi, in pratica non abbiamo clienti in sedia a rotelle”, mi viene risposto dal negoziante in visibile imbarazzo; le pedane fisse si possono  mettere, certo, ma il Comune chiede un'onerosa tassa per l'occupazione del suolo pubblico ed i negozianti, già strozzati da tasse e vessazioni di ogni salsa, non ci pensano neanche da lontano.

Butto lì un semino per far germogliare un pensiero. “Non crede che siamo pochi perché non ci permettete di andare in giro da soli?”  Cala il silenzio. Un silenzio che parla e dice cose forti.
Certo che siamo pochi. Marciapiedi impraticabili, ciclabili inesistenti che terminano con gradini ed ostacoli architettonici, esercizi commerciali che presentano uno, due, tre scalini all'ingresso  (spesso contornati da pesanti porte che non restano aperte da sole). Il percorso minato urbano è spesso insormontabile e tanto, tanto deprimente.

Aiuta molto l'immaginare di dover chiedere costantemente qualcosa agli sconosciuti quando si esce da soli.
Scusi, mi tiene aperta la porta?”
Scusi, mi può aiutare a scavalcare questo gradino?”
Scusi, mi spinge su questo marciapiede che è tanto in pendenza?”
Scusi, può aiutarmi a raggiungere il bancomat che è troppo in alto?”
Una vera e propria giungla che spinge chi utilizza una carrozzina verso l'autosegregazione nei centri commerciali di recente costruzione dove tutto deve, per legge, essere a norma (pena il rifiuto del permesso per l'apertura del centro).

Parlo ancora con il negoziante in questione - che nel frattempo si è adoperato per farmi entrare, aiutandomi a scavalcare il gradino di accesso. Suggerisco l'uso di una pedana amovibile da apporre e rimuovere subito dopo il passaggio della persona diversamente abile; un piccolo, grande gesto di civiltà che saprebbe riportare nelle città anche le persone che usano una sedia a rotelle.
Il negoziante mi risponde che è una buona idea, ma che se è un solo negozio si risolve ben poco; nel frattempo sento la rabbia scalpitare, pensando che i Comuni mangino su qualcosa che è UN MIO DIRITTO di cittadino e contribuente.

L'unica cosa che posso fare, come utilizzatrice di sedia a rotelle, è continuare ad uscire e non rinunciare alle città per la presenza di limiti. Continuerò a rompere le scatole al mio prossimo di modo che anche lui sia automaticamente edotto su cosa rappresenti una barriera, argomento del quale non si parla davvero mai abbastanza; non mi trincererò nella mia comfort zone, affronterò il rischio di non farcela e non rinuncerò ai centri urbani per la mancanza di facilitazioni.

La mia battaglia infervora l'animo del negoziante che si ripromette di fare la sua parte perché possa entrare anche io con la mia sedia, oltre ai cagnolini.
Proseguo caparbia per la mia strada con la speranza che tutti gli esercizi commerciali si adoprino affinché nessuno sia costretto a dire, in questo 2016 e negli anni che verranno, IO NON POSSO ENTRARE.

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Lila Madrigali

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