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Buonasera Avvocato, volevo porre il seguente quesito Lavoro dal 2001 in un azienda privata del settore sanitario. La mia azienda ha deciso di spostarmi da Roma a Milano. Attualmente io ho una qualifica di Responsabile di Magazzino, come impiegato di secondo livello. Io ho un padre disabile al 100% con art 3 comma 3 riconosciuto. Essendo che il magazzino non cesserebbe di esistere può l'azienda chiedermi di spostarmi a Milano se il magazzino continua ad esistere e non mettendo nessuno al mio posto, ma spostando su altre persone che gravitano per il magazzino come tecnici alcune attività e chiedere a me di gestire la restante parte del lavoro a livello informatico da Milano? Io sono l'unico figlio con residenza nell'abitazione di mio padre e mia madre /74 anni l'uno) con gravi patologie riconosciute essendo oltretutto anche paziente della stessa ditta dove lavoro io? E' tutto questo possibile? Cosa succede se io non accetto il trasferimento? Vi chiedo cortesemente un riscontro e se possibile di non pubblicare questa mia mail per evitare che possano sfruttare la vostra potenziale risposta a loro favore.

Grazie infinite

Cordiali saluti 

R. G.


La risposta dell'avv. Colicchia


Egregio Signore,
Le rispondo dicendo che i commi 5 e 6 dell'articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Diversamente da quanto previsto per la scelta della sede, il rifiuto al trasferimento si configura come un vero e proprio diritto soggettivo. Si tratta infatti di una disposizione che rafforza ed estende quanto già previsto dal Codice Civile. All'articolo 2103 prevede, fra l'altro, che il lavoratore non possa essere trasferito da un'unità produttiva all'altra senza comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Il comma 5 dell'articolo 33 aggiunge a questa condizione, oltre alle ragioni appena illustrate, anche il consenso da parte dell'interessato. In caso di violazione si può ricorrere al Giudice con fortissime probabilità che l'azienda soccomba in giudizio. In particolare, sull’art. 33, il quale prevede al comma 5 che il lavoratore possa scegliere, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, è pacifico nella giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa chiamata all’interpretazione della ratio legis, che tale facoltà “non costituisce un diritto incondizionato del dipendente, ma piuttosto una valutazione discrezionale dell’amministrazione”, un “semplice interesse legittimo” (Cons. St. n. 1828/2012), per cui la P.A. può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento presentata, giacché le condizioni personali e familiari del dipendente “recedono di fronte all’interesse pubblico, alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione” (Cons. Stato 4200/2014; n. 1073/2014; n. 1677/2014). Pertanto, il trasferimento deve intendersi vietato anche laddove la disabilità del familiare che il lavoratore assiste, “non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte” (Cass. n. 9201/2012).
Saluti
Avv. Roberto Colicchia


Studio Legale
AVV. ROBERTO COLICCHIA
Via Risorgimento Prol. 66  89135 - Reggio Calabria
Via G. Garibaldi, 118 91020 - Petrosino (Tp)
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email   avv.robertocolicchia@tiscali.it

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