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OMICIDIO VOLONTARIO O LEGITTIMA DIFESA?

Rosetta era nata a Moggio, un paesino della Valsassina, era l'ultima figlia di una famiglia numerosa, suo padre portava bombole e fustini di kerosene in giro per le case e le ville dei villeggianti invernali.
Alto, robusto, coi capelli biondi un po' scomposti, il volto rotondo e rubicondo e l'immancabile camice nero, non lo si poteva ricordare vestito in altro modo, perché, anche la domenica, lavorava ed indossava il camice nero.
Parlava poco suo padre, a volte bestemmiava e, la domenica sera, faceva la solita partita al bar.
Rosetta lo aveva visto sempre sulla sua Ape carica di fustini e bombole, a volte a tavola, dove mangiava con appetito, sempre in silenzio, a volte, al bar.
Rosetta non riusciva a ricordarlo diversamente.
Eppure erano nati sei figli, quattro maschi e due femmine
La mamma era una donna magra, esile, malgrado le sei maternità e parlava poco anch'essa.
Rosetta la ricordava coi capelli neri sempre un po' spettinati tenuti in qualche modo da un pettinino che sembrava sempre in procinto di cadere, e, non cadeva mai.
Lavorava anche lei, era commessa in un negozio di ferramenta, là indossava un grembiule azzurro, in casa l'aveva a fiori.
Sua sorella aveva 15 anni più di lei, si era sposata presto ed era andata a vivere a Milano, Rosetta non la conosceva quasi, aveva cinque anni quando lei si era sposata, era molto diversa da lei, bionda, alta e robusta come il padre, veniva di rado a trovarli, il marito aveva fatto carriera in banca e lei si vergognava un po' di quella famiglia, onesta, ma rimasta povera per troppo tempo.
I fratelli assomigliavano tutti al padre e lavoravano tutti, Alberto come muratore, Aldo come idraulico, Carlo come elettricista, avevano costituito una società ed erano l'orgoglio della famiglia perché erano diventati imprenditori.
Si erano sposati tutti giovani ed avevano dei figli quasi coetanei di Rosetta.
Rosetta era l'unica che assomigliava alla madre, aveva i suoi capelli neri ed i suoi occhi, anche l'esile figura, non la sua salute, era nata sottopeso ed era rimasta sempre un po' delicata.
Contrariamente a ciò che si pensa, non era stata accolta in famiglia come un ultimo dono, bensì come un incidente di percorso, un problema in più, la sua costituzione esile e la salute malferma avevano acuito il senso di fastidio che la sua nascita aveva generato.
Non si sentiva amata né dalla madre né dal padre.
Aveva iniziato ad andare a servizio dal parroco giovanissima, prima ancora di aver finito le medie.
Puliva la chiesa, la casa del parroco ed anche quella di un amico del parroco.
La sera stanca, andava a letto presto, la mattina si alzava presto, parlava poco, sognava molto.
Quando poteva faceva lunghe passeggiate nei boschi, sbirciava i turisti fare scampagnate, li osservava senza farsi vedere, sognava che uno di quei ragazzi così disinvolti e ben vestiti, un giorno si accorgesse di lei e la portasse via di lì.
Non sapeva di essere carina, di avere grandi occhi profondi, neri come il fondo di un lago, né di avere bei capelli lucidi come seta, né si rendeva conto di avere un fisico minuto, ma molto ben proporzionato e lineamenti sottili ed eleganti.
Non glielo aveva mai detto nessuno che era la più bella di tutta la famiglia.

Quando l'amico del parroco aveva allungato le mani, non aveva avuto il coraggio di licenziarsi.
Ed aveva subito in silenzio.
Ma il giorno della rinascita, del cambiamento arrivò anche per lei.
Uno di quei bei ragazzi che venivano a sciare l'aveva notata, lei sciava bene.

E sembrò che anche per lei fosse arrivato un raggio di sole.

Quando il giovanotto le chiese di andare a vivere con lui non ci pensò due volte, non salutò nessuno, non avvertì nessuno e partì per Milano senza dire a nessuno dove e con chi se ne era andata.
Non andò mai a trovare la sorella che pure viveva nella stessa città.

Il padre morì d'infarto proprio quell'anno.

La madre non fece alcuna ricerca, i fratelli poi avevano l'impresa e le loro famiglie cui badare.
Nessuno si preoccupò della sua partenza, forse, fu un sollievo per tutti.

Rosetta a Milano si sentì finalmente libera e felice, Giuseppe, il suo uomo, aveva una bella casetta ed una bella bottega di alimentari.
Per lei, il suo piccolo mondo era il Paradiso, puliva, lavava, stirava, cucinava, rammendava con gioia ed allegria, Giuseppe sembrava contento e vissero così per un paio d'anni.
Giuseppe aveva smesso di andare a sciare per amor suo, per non farla tornare al paese.
Aveva anche venduto la casa che aveva lì e ne avevano acquistata una al mare.
Rosetta così aveva scoperto il mare, il mare l'aveva affascinata ed era felice di poterci andare ogni tanto.

Un bel giorno però tutto cambiò.
Giuseppe, non andando più in montagna a sciare, aveva iniziato a frequentare un bar, là giocava a biliardo, vedeva le partite, faceva smazzate a carte con gli amici e bevevo un bicchiere.
I bicchieri a poco erano diventati due, poi 3, poi 4
Le giocate erano sempre più forti, le sbornie sempre più frequenti ed iniziarono anche i tradimenti.
Rosetta non si rendeva conto di cosa stesse succedendo, ad ogni sua protesta Giuseppe aveva iniziato ad alzare le mani.
Rosetta per pudore nascondeva i lividi, aveva imparato ad usare il fard ed il fondotinta, lei che non si era mai truccata…
Avevano smesso di andare al mare.
Lei restava sempre più sola, ma era abituata e preferiva stare sola che incontrarsi con Giuseppe, sempre più irascibile e violento.
Rosetta aveva cominciato a frequentare la Parrocchia, si confidava col parroco, aveva fatto amicizia con una suora ed aiutava ad addobbare la chiesa per le cerimonie, aveva preso anche a cantare nel coro.

Una sera, tornando a casa, trovò Giuseppe ubriaco che l'aspettava furioso, quella sera la picchiò più duramente del solito ed il fard non sarebbe stato sufficiente per nascondere i segni.
Così Rosetta non uscì per alcune settimane.

Un'altra sera Giuseppe portò una donna a volle fare l'amore con quella donna davanti a lei.
Anche allora Rosetta non raccontò nulla a nessuno.

Giuseppe le aveva proibito di cantare nel coro della chiesa e di frequentare la suora.
Comunista convinto, aveva preso a bestemmiare sempre più spesso per vederla arrossire
di vergogna e di rabbia.

Una domenica, Rosetta si ribellò e lui le rovesciò addosso la pentola in cui bolliva l'acqua per la pasta.
Quella volta fu necessario il ricovero in Ospedale.
Rosetta tacque anche quella volta.
Ma iniziò ad odiarlo con tutte le sue forze, avrebbe voluto vederlo morto.
Si ripeteva con ostinazione ossessiva.
"Non mi lascerò ammazzare, lo ammazzo io piuttosto, lo ammazzo io!!".
Quella volta dovette dichiarare che era stato un incidente, ma l'infermiera che le aveva somministrato il sedativo l'aveva sentita ed aveva capito che non si era trattato di un incidente.

I ricoveri in ospedale divennero sempre più frequenti.

L'infermiera aveva iniziato a chiederle insistentemente cosa le stesse accadendo, piano piano Rosetta trovò il coraggio di raccontare l'escalation di violenze che era costretta a subire.
L'infermiera era una donna di circa 40 anni, divorziata, energica e determinata.
Prese a cuore quella povera ragazza e la convinse a fuggire da quella situazione.
Per qualche giorno la ospitò a casa sua e le trovò un lavoro a Bergamo, doveva fare da badante ad un'anziana signora.
Il lavoro era pesante per lei così minuta e fragile, ma Rosetta ce la metteva tutta ed era felice di essere fuggita per la seconda volta.
Non amava più Giuseppe, anzi aveva iniziato ad odiarlo dal profondo del suo fragile essere.
Aveva anche tentato di contattare sua madre ed i fratelli, ma Giuseppe l'aveva preceduta e loro le avevano consigliato di non farsi vedere.

Passarono così alcuni mesi di tranquillità, Rosetta riprese a cantare nel coro della chiesa ed addobbare la Parrocchia, ci sapeva fare con i fiori, i suoi lavori erano apprezzati e, alla morte dell'anziana signora che aveva accudito, trovò lavoro dal fioraio che le faceva fare belle composizioni.
Con sorpresa seppe che la signora le aveva fatto anche un piccolo lascito.
Era riuscita a prendere in affitto un piccolo appartamento che aveva arredato con buon gusto.
Di uomini non ne voleva sapere, ma spesso la si vedeva sorridere.
Aveva un bel sorriso Rosetta, sembrava serena e, probabilmente lo era.
Aveva raccolto un gattino e lo coccolava con lo stupore di una bimba, non aveva mai avuto un gattino da piccola.
Chiusa com'era non aveva molti amici, ma il fioraio e la moglie la invitavano spesso a cena da loro, anche la portiera scambiava qualche chiacchiera con lei, le ragazze del coro apprezzavano la sua voce ed il parroco sembrava volerle bene, anche i negozianti erano gentili con lei.
Non chiedeva altro Rosetta.

Una sera però, trovò Giuseppe ad aspettarla davanti alla porta del suo appartamentino.
Lo fece entrare per timore di una scenata, nessuno seppe cosa provò Rosetta nel vederlo lì
Né lei lo raccontò a nessuno.
Smise di sorridere e cominciò ad avere di nuovo paura, non tanto di lui, quanto di perdere
La sua nuova vite, la sua rispettabilità ritrovata.
Si confidò solo col prete, una volta il prete tentò perfino di parlare con Giuseppe per convincerlo a non fare più incursioni domenicali e serali nella vita di Rosetta.
Giuseppe lo coprì d'insulti e continuò a tormentare Rosetta con telefonate e visite improvvise.
Rosetta, per farsi coraggio, aveva iniziato a bere qualche bicchiere di Martini Rosso.

Una notte, era un sabato sera, Giuseppe si presentò ubriaco alla sua porta.
Come al solito, per paura dello scandalo, Rosetta gli aprì, aveva bevuto un paio di Martini ed aveva deciso di affrontarlo una volta per tutte, gli avrebbe detto che lo avrebbe fatto diffidare dai Carabinieri,
Giuseppe rise e la schiaffeggiò: "Provaci e ti ammazzo", le disse sprezzante.
"Ti faccio licenziare e poi vediamo dove te ne vai,morta di fame come sei!".
"Cosa vuoi ?", urlò lei.
"Devi tornare a casa", disse lui e si avvicinò con un sogghigno slacciandosi la cintura dei pantaloni.
Erano in cucina,Rosetta afferrò un coltello.
Lui rise più forte: "Cosa credi di fare con quel coltello?".
"Provaci che te lo faccio ingoiare!".
"Ti sgozzo come questo stupido gatto".
Afferrò il gattino che fece un urlo prima di morire soffocato dalla presa di Giuseppe.

Rideva ancora quando cadde portandosi le mani al cuore, dal petto usciva un filo di sangue.

Rosetta lo scavalcò e fuggì via.
Vagò alcune ore per le strade, non piangeva, non gridava, non soffriva nemmeno e non aveva più paura, camminava senza pensare a niente, senza rimorsi, non si chiedeva cosa sarebbe stato di lei.
Entrò in un bar e ordinò due Martini Rossi, era un po' strana in quel bar, a quell'ora di notte, con le sue scarpe basse, la gonna troppo lunga, la camicetta bianca ed il golfino blu ed il cerchietto che teneva in ordine i suoi bei capelli neri e lunghi, non aveva neppure il cappotto e fuori faceva freddo.
Sorseggiò i due Martini, uno dopo l'altro e mangiò tutte le patatine che erano sul banco, al momento di pagare si accorse di non avere la borsa, stava per dare al barista la sua catenina in pegno, ma una prostituta che aveva visto la scena gridò al barista
"Per la monachella pago io".
Rosetta alzò lo sguardo e ringraziò quella signora dai capelli rossi col vestito leopardato un po' troppo stretto e corto, che le sorrideva con una bocca un po' troppo truccata e la sovrastava dall'alto di incredibili scarpe rosse con una zeppa altrettanto improbabile.
"Grazie", sussurrò.
Fuori aveva iniziato a piovere, Rosetta non ci fece molto caso, accelerò solo il passo e si fermò davanti alla Stazione dei Carabinieri.
Entrò e disse: "Credo di aver ucciso Giuseppe, forse l'ho solo ferito, non so, andare a vedere!".

Giuseppe era morto davvero, la coltellata l'aveva colpito al cuore, e, neppure un soccorso tempestivo lo avrebbe salvato.
Rosetta fu arrestata.
La portarono in carcere, Rosetta subì senza protestare la perquisizione, dormì a terra perché non c'erano brande libere, non litigò con nessuna detenuta e sì offrì di pulire la cella.
Le altre detenute, dopo un attimo di sconcerto, iniziarono ad offrirle qualche sigaretta, qualche caffè e, la domenica anche una razione di vino in più, non c'era gusto nel provocarla, e ….aveva ucciso un uomo.
Al processo la difese un avvocato d'ufficio, i suoi parenti non risposero alle sue lettere, i parenti del morto si costituirono parte civile, per lei venne a testimoniare solo l'infermiera dell'ospedale di Milano, la suora ed il parroco, gli altri, tutti quelli di Milano, che sapevano non vennero.
A Bergamo nessuno conosceva l'esistenza di Giuseppe e nessuno venne a testimoniare in suo favore.
Le diedero 14 anni, ma, l'avvocato d'ufficio ricorse in appello.

Il poco denaro che aveva lo diede all'avvocato d'ufficio, sperando che la difendesse meglio, l'infermiera le lasciò un po' di denaro alla porta e una guardiana le consigliò di inoltrare domanda per fare la scopina nel carcere.
Passarono così quattro lunghi anni, Rosetta era stata trasferita a Parma, là aveva passato due giorni e due notti senza dormire mai, in una grande stanza con ragazze molto più giovani, probabilmente tossicodipendenti, che ascoltavano musica a tutto volume, aveva chiesto dei sonniferi sempre più forti, poi finalmente le avevano dato un'altra sistemazione.
Il carcere di Parma, apparentemente era più accogliente e meno affollato, ma le sue compagne di cella erano molto più pericolose e difficili da capire.
Erano tutte assassine, una aveva ucciso il figlioletto di due anni, un'altra aveva ucciso la madre, non si lavava e non si pettinava da sola, veniva il padre a farlo, aveva un permesso speciale per accudire la figlia, c'era anche una zingara accusata di aver trafficato con dei bambini.
Rosetta non si sentiva a suo agio con loro.
Le ragazze della camerata non le parlavano perché aveva chiesto di cambiare cella, con queste non si trovava proprio e chiese di cambiare ancora, finalmente le trovarono un'altra compagna, era una prostituta di Ferrara, non aveva ucciso nessuno, era lì per contrabbando e sapeva di restarci poco, perciò cantava e rideva ed era piacevole stare con lei, anche se aveva le sue manie.
Non si era attirata le simpatie delle altre e così, pur avendo più libertà di movimento, non usciva dalla cella se non per andare a lavorare.
Le avevano dato un posto di lavapiatti in cucina e non era ben vista neanche per quello, era un posto ambito e, lei, l'ultima arrivata, lo aveva avuto.
Però nel cortile c'erano dei gatti e Rosetta, lavorando in cucina, poteva portar loro da mangiare.
Rosetta prendeva troppi sonniferi e scambiava troppi quartini di vino, aveva iniziato a fumare troppo ed aveva perso molti capelli.
Li aveva dovuti tagliare, per rinforzarli un po'.
Quando la prostituta di Ferrara uscì le lasciò i suoi vestiti e Rosetta si divertiva a provarli,
aveva avuto il permesso di cucire e se li era sistemati, scriveva lunghe lettere all'infermiera che era rimasta il suo unico contatto con il mondo esterno, le mandava giornali e qualche libro.
La sua nuova compagna di cella era una ragazza biondissima,un po' nevrotica che continuava a ripetere: "Che stress! Che stress!".
Parlava solo del suo uomo e passava ore ed ore attaccata alle sbarre nella speranza di intravederlo, lui era nel reparto maschile e, ogni tanto riuscivano a spedirsi dei bigliettini con una specie di cerbottana.
Rosetta rimpiangeva la prima compagna, quella di Ferrara che cantava sempre e apriva le finestre in continuazione, anche quando faceva freddo, questa parlava solo di "scopate" e di quanto fosse in gamba il suo uomo.
Le altre detenute avevano preso a chiamarla la montanara e la prendevano in giro per il suo amore per i gatti e la sua assiduità in chiesa.
Un giorno insinuarono che scopasse col prete, Rosetta ebbe una reazione violentissima, aveva afferrato la donna e le aveva stretto le mani attorno alla gola quasi a soffocarla.
Riuscì a mollare la presa prima che arrivassero le guardiane, a guardarla sembrava un'altra:
gli occhi erano iniettati di sangue, il viso era trasformato da una maschera mostruosa ed il petto si sollevava e si riabbassava con ritmo veloce seguendo il suo respiro affannoso.
"Stronza!", fu il commento della malcapitata.
"quella è matta, poco ci mancava che mi strozzasse!", raccontò alle altre, ma non alle guardiane.
Da quel giorno la lasciarono in pace.
Fece amicizia con una lesbica, l'unica con cui parlasse e passeggiasse all'ora d'aria.
Le altre stavano alla larga da quella strana coppia.
La lesbica era violenta ed aggressiva sempre, solo con Rosetta era gentile e premurosa.
Nessuno però riuscì a vederle in atteggiamenti intimi, così a poco a poco nessuno si occupò più di loro.
Rosetta pare la praticasse solo perché riusciva a farle avere qualche sonnifero in più e qualche quartino di vino in più.

Arrivò il giorno dell'appello.

Rosetta non lo sapeva neppure, la svegliarono alle cinque del mattino e le dissero di vestirsi che tornava a Milano per il processo.
La assolsero: "Legittima difesa", fu il verdetto.

La mattina seguente Rosetta era accompagnata alla porta, le dissero di andare a Parma a ritirare il denaro guadagnato in carcere ed i vestiti.
Rosetta, frastornata, si ritrovò per strada, senza soldi, senza vestiti, senza sapere dove andare.
Camminò a lungo, respirando l'aria fredda, guardando le macchine, i semafori, gli alberi.
Non era felice, non era triste, era libera.
Non aveva con chi condividere quella sua libertà, né a chi raccontarla.
L'infermiera, che era stata l'unico suo contatto con il mondo esterno non le scriveva più da molto tempo.
Rosetta decise di non disturbarla, entrò nella prima chiesa e restò lì in attesa sperando che
un prete sarebbe arrivato.
Il prete la indirizzò dalle suore, queste la mandarono alla Caritas, un'assistente sociale finalmente le trovò un posticino da altre suore.
Non poteva più bere, né fumare, né le davano più i sonniferi cui si era abituata, doveva pulire
il convento, lavare i piatti, spazzare il giardino.
Aveva iniziato ad odiare quel posto, quasi quasi sarebbe stato meglio restare in carcere, pensava.
Il giornalaio le dava qualche giornale vecchio e le permetteva di telefonare in cerca di un altro lavoro, ma, con le referenze che aveva, non l'assumeva nessuno.
Passarono così altri due interminabili anni.
Rosetta odiava sempre più le monache, non cantava nel coro della chiesa e non ci andava più volentieri, piangeva spesso nel silenzio della sua celletta.
Si sfogava solo col giornalaio, qualche volta lui le faceva fumare una sigaretta e le offriva un Martini rosso al bar.
Un bel giorno però venne a cercarla, c'era una signora tedesca che cercava una baby sitter, sapeva tutto di lei e voleva darle una possibilità.
Rosetta accettò con gioia, tutto sarebbe stato meglio che restare lì.!
La casa della signora era bellissima, aveva una stanzetta tutta per lei, un televisore tutto per lei,
i bambini erano tre ed avevano un cane.
Rosetta aveva paura dei cani, ma il cane seppe conquistare la sua fiducia.
I primi tempi furono difficili, non aveva mai badato a dei bambini, la signora però fu paziente, le spigò le abitudini della casa, la fece giocare coi bambini, dopo una settimana iniziò a lasciarla qualche ora con loro, i bambini iniziarono a volerle bene.
Arrivò Natale! Il primo vero Natale in famiglia pensò Rosetta.
Fecero l'albero ed il Presepe, andarono a fare spese, lei fece gli addobbi e tutti si complimentarono per il suo talento nel disporre i fiori.
Andarono anche in montagna e lei riprese a sciare, tutti si complimentarono con lei anche per questo.
L'estate andarono al mare e la lasciarono coi bambini per circa due mesi.
Rosetta era diventata molto più bella, aveva fatto ricrescere i capelli, che erano tornati lucidi come la seta, lo sguardo si era addolcito, aveva abiti suoi ed aveva anche buon gusto, inoltre la signora la consigliava bene.
Ingrid, la signora, dopo alcuni mesi le aveva chiesto di darle del tu,a volte le scambiavano per due amiche e lo erano diventate.
Ingrid le diceva sempre: "Ora cara mia, sei perfetta, ti manca solo un bel marito... sarà un guaio per me perderti, ma i ragazzi stanno crescendo e tu devi farti una famiglia tua, dei bambini tuoi, sei troppo brava come vice mamma".
Rosetta si scherniva, ma le sarebbe piaciuto trovare un brav'uomo, iniziò a pensare che in fondo le spettava avere un po' di felicità.
Ma quale uomo l'avrebbe sposata sapendo che aveva ucciso un uomo?
Ingrid le diceva sempre che non era necessario raccontarlo subito, poi, se l'uomo l'avesse amata avrebbe capito.
Non era così semplice, non fu così, i pochi uomini con cui uscì non capirono e la lasciarono dopo la rivelazione del suo passato.
Rosetta smise di pensare agli uomini, era felice lo stesso, aveva i suoi bambini, la sua amica, i suoi libri, aveva imparato a ricamare dalle suore e faceva bellissimi ricami che le pagavano bene.
Una mattina suonarono alla porta.
Erano i Carabinieri, venivano ad arrestarla: avrebbe dovuto scontare altri 10 anni, era stata condannata in contumacia, l'avvocato che aveva fatto l'appello si era rifiutato di patrocinarla in Cassazione, non l'avevano trovata per comunicarle del processo, i parenti del morto avevano fatto ricorso contro la sentenza di assoluzione e la Cassazione aveva confermato la sentenza di primo grado.
Ingrid affranta protestò inutilmente, inutilmente cercò i migliori legali della città, i ragazzi piansero, tutto il quartiere si mobilitò per lei questa volta, anche i giornali si occuparono di lei, ma fu tutto inutile.
Quando uscirà avrà 53 anni.

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