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ANDREJ

Avevamo appena assistito ad una messa per i defunti, celebrata nella chiesa ortodossa di rue Da Rue, Fiorella, la mia compagna di viaggio, mi aveva accompagnata, per vedere com'era una chiesa russa ed anch'io ero più motivata dal voler conoscere i luoghi tante volte descrittimi da mia nonna e da mia madre, più che dalla volontà di commemorare i defunti.
Tuttavia avevo consegnato al Pope la lista dettagliata dei nomi da nominare, cercando di non dimenticare nonni e bisnonni mai conosciuti ed altri parenti sentiti nominare solo in quelle circostanze, mia nonna era morta pochi anni prima ed il mio contatto con la cultura russa si stava affievolendo, non si coloravano più le uova a Pasqua, non si andava alla messa di mezzanotte a Natale, tornando a casa con la candela accesa, malgrado il freddo, il vento e la neve.
In Italia non c'erano chiese ortodosse, quelle che avevo conosciuto erano state improvvisate in un appartamento, il prete veniva una volta al mese ed erano destinate a sparire, man mano che i vecchi profughi morivano, i loro figli si integravano, spesso diventavano cattolici, io stessa ero cattolica, anche se avevo frequentato la chiesa ortodossa con più piacere di quelle cattoliche, che trovavo fredde ed inospitali.
Le chiese cattoliche erano per me, bellissime da visitare, monumenti gelidi pieni di marmi ed immagini severe che, da piccola, mi incutevano un po' di paura, le piccole stanze dell'appartamento di via Palestro a Roma, invece mi faceva sentire il calore del legno del parquet e dei rivestimenti delle pareti, entrando si sentiva l'odore dell'incenso delle lunghe, strette, candeline gialle, i canti erano commoventi e non fastidiosi al mio orecchio, come quelli che a volte si sentivano nelle chiese cattoliche, il rito era più lungo e solenne, ma i gesti del Pope mi affascinavano molto più di quelli del parroco dove avevo studiato catechismo da piccola, anche la Comunione aveva per me il sapore della festa, il panino caldo ed il cucchiaini del vino rosso della Comunione ortodossa mi facevano sentire partecipe di un evento, anche il nastro rosso del calice mi infondeva serenità, a differenza dell'asettica ed insapore Ostia cattolica.
Mi avevano spiegato che era per una questione d'igiene.Ma come avrebbe potuto il corpo ed il sangue di Cristo trasmettere delle malattie?
Che fede era quella?
Anche quel giorno avevo fatto la comunione ortodossa ed avevo nella borsa il tondo panino che rappresentava il Corpo di Cristo.
Durante la funzione avevo pianto e mi ero trasferita idealmente nella realtà dei nomi di quelle persone che non avevo mai conosciuto, in un passato che sentivo mio in qualche modo pur non avendone mai fatto parte.
Anche Fiorella si era emozionata senza sapere perché.
Eravamo contente di essere state lì.
Camminavamo in silenzio, avevamo addosso ancora la magia del rito, dell'incenso, dei canti.

Ad un semaforo mi sentii toccare sulla spalla, mi girai e non vidi nessuno, cominciai ad attraversare e sentii distintamente una mano sulla spalla, mi voltai ancora e non vidi nessuno.
All'improvviso una voce mi disse: di me ti sei dimenticata?
Andrei! Non avevo fatto nominare Andrei!
Lo dissi a Fiorella che non capì appieno la mia agitazione, né l'urgenza di tornare indietro
E ricominciare tutto daccapo, suonare al prete, farlo scendere di corsa e fargli rifare un'altra messa solo per Andrei.
Fiorella non capiva, ma la mia determinazione non le permise di replicare alcunché.
Invece di pregare continuavo a chiedere scusa, mentalmente, ad Andrej, e lui mi sorrideva ringraziandomi e tranquillizzandomi.
La messa fu in formato ridotto, ma mi rese la tranquillità che per un attimo avevo perso.
Uscendo sorridevo e ringraziai Fiorella per la pazienza e la comprensione.
Fiorella, la mia compagna di viaggio era una ragazza dai tratti marcati, una grande bocca spesso sorridente, un naso importante ma non sgradevole, occhi castani grandi e profondi, capelli rossicci ricci senza speranza che qualche stiratura li rendessero più lisci, l'erre moscia le dava un che di aristocratico, il timbro di voce era piacevole, era alta ed un po' troppo piena come me.
Ci eravamo conosciute all'università di Milano, avevamo legato subito ed avevamo programmato quel nostro primo viaggio all'estero fin dai primi mesi di amicizia.
Nato come un viaggio di studio era diventato un giro d'Europa in macchina ed eravamo felicissime.
La prima tappa era stata Parigi
Che emozione arrivare a Parigi!
Io la conoscevo per i racconti di mia madre che aveva voluto che parlassi francese con lei in casa e non aveva fatto che parlarmi di Parigi per moltissimi anni, conoscevo strade, palazzi, negozi come se vi avessi vissuto anch'io, le molte letture avevano fatto il resto, anch'io adoravo Parigi, non i francesi e la Francia, solo Parigi.
Fiorella aveva avuto un'esperienza simile con la nonna e così eravamo in perfetta sintonia.
"ora mi spieghi chi era questo Andrei!" esordì Fiorella ridendo.
"Non lo so, non l'ho mai conosciuto!
Ma mi mandava delle cartoline fantastiche quando ero piccola, avevo una collezione di quelle cartoline che ricordo ancora come la cosa più fantastica della mia prima infanzia.
Erano tutte con sfondo blu e rappresentavano scenette di gatti parlanti che sembravano più veri e più vivi dei cartoni animati
Quei gatti parlavano francese e si dicevano frasi che avrebbero potuto essere scritte da Victor Hugo, quel V.H. che aveva scritto quella poesia che diceva pressappoco così:
vieni, ho dei frutti e delle rose, ti dirò delle dolci cose, e, forse, sorriderai…..
Andrej doveva essere un uomo dalla sensibilità straordinaria!
Ho di lui solo una foto tessera, credo sia quella che hanno messo sulla sua tomba, ma non so neppure dove sia sepolto.
Era un uomo apparentemente insignificante, un viso magro, un po' grigio ed un po' stempiato, un sorriso dolce ed anonimo, né bello né brutto, probabilmente non era neppure alto, forse un po' mingherlino".
Fiorella chiese: "va avanti, perché te lo ricordi con tanta emozione?quando è morto?".
"E' morto quando avevo poco più di tre anni credo".
Non so dove e come avesse conosciuto i miei genitori, so che lo avevano ospitato per qualche tempo, una volta mia madre si era lasciata sfuggire che le sarebbe piaciuto che avesse sposato la nonna.
La nonna era furiosa quando le nominavano questo matrimonio mancato e non ne parlava volentieri, chiudeva ogni discorso dicendo che aveva amato solo il nonno.
Non potevo darle torto, il nonno era bellissimo, alto coi suoi occhi grigi, il volto volitivo, lo sguardo schietto, i baffi neri come i suoi folti capelli,
ho sentito cose fantastiche del nonno, ma quella è un'altra storia, del resto non ho conosciuto neppure lui.
La mente andò alle poche foto del nonno e alle storie che avevo sentito, avrei cominciato a parlare di lui, se, Fiorella, con la sua logica un po' teutonica, non mi avesse incoraggiata a finire il racconto di Andrei.
"non ho molto da dire - ripresi - so che quando papà dovette andare via dalla Francia, dopo la guerra, Andrei rimase a Parigi, si devono essere scritti, sono nata io e lui aveva iniziato a mandare quelle cartoline, era un po' come se mi avesse tenuta in braccio, mia madre deve averlo amato come un padre.

Un bel giorno le cartoline non arrivarono più, poi si seppe che Andrej era stato trovato nella sua soffitta, era morto da molti giorni, forse di stenti, forse di malattia, forse di freddo.
Nessuno è andato al suo funerale, nessuno sa dov'è stato sepolto.
In casa mia nessuno ha più parlato di lui, ma io lo porto nel cuore".
Fiorella mi guardava pensosa. "Credo che, ora, lo ricorderò anch'io".

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