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RACCONTO
Flavia P.

Flavia Piccinni nasce a Taranto ed adesso vive in Toscana.
Scrive da molti anni, unicamente per piacere.


MARTINI

"Continuo a fumare, chiuso nel bagno.
E, se viene la bidella, che dico?
Dico che l'ho trovata per terra e che, a questo mondo non si butta via niente".

09.35 di un lunedì mattina-inizio di una settimana carica di compiti in classe, interrogazioni e lavoro.

"Questo è l'ultimo tiro. Poi, la butto.
Ormai sono sette minuti e 23 secondi che sono nel bagno. 38 secondi e mi mandano a cercare".
E' inutile però che mi dica: è l'ultimo tiro. Tanto, non lo è mai. L'ultimo tiro è quello dal filtro bagnato, quando è rimasta solo la carta e fumo non ce n'è più.

09.36 Entro in classe. Naso rosso, mani congelate.
Tossisco nervosamente e i diligenti studenti mi guardano male, neanche stesse parlando Ringo Star.
E' una semplice lezione di letteratura greca e tutti pendono dalle labbra della docente, perché si chiamano così ormai, che racconta l'importanza della commedia aristofanea nel modernismo menandreo.
Mi siedo e sento le ragazze dell'ultima fila imprecare: la mia suola di gomma, che si trascina sulle mattonelle anni ''20, ha coperto i sospiri dell'insegnante e non sono riuscite a trascirverli con la corretta alternanza di vocali e consonanti.

Vorrei fumarne un'altra, adesso. E un'altra ancora.
Poi tenere il filtro in mano e bruciarlo con l'accendino fino a farlo diventare marrone, poi nero.
Mi piacerebbe anche andare al bar, quello in piazza, e parlare con la barista, fino a sera.
Ma fino all'una qui non mi salva nessuno.
Quando mi decido a fare 18 anni?

Attimo di interesse. La docente in questione ha alzato gli occhi dal libro:
"Ragazzi, lo sapete anche voi, che noi, parlo del corpo docenti, non vorremmo bocciare nessuno. Ma, anche qui fra voi, ci sono degli studenti, che non ci propongono proprio altre alternative.
E sapete, che noi, sempre come corpo docente, non possiamo ignorare i disperati appelli che ci lanciate. Forse anche a livello subconscio".

Eccoci. Beccato in pieno. Mai disegnare nodi scorsoi sul banco dalla prima fila durante l'ora di greco, sopratutto quando si parla della fortuna di Aristofane.
Abbasso lo sguardo e mi guardo le mani. Dovrei mettere un pò di crema per nutrirle, ma non è una cosa da maschi.

Eccoci. Adesso:
"Marco, mi dici che stai facendo con le mani sotto al banco?"
"No, no. Niente. Pensavo ad Aristofane".
"Ah, e, dicci, cosa pensavi. Forse che a livello subconscio siete simili?"

Silenzio totale. Silenzio nero, ma poco imbarazzante. Perché in fondo a me, il silenzio, mi piace.
Tipo, quando fumo, se c'è casino mi innervosisco e non fumo più.
A me piace fumare con calma, nel bagno, in camera sul letto mentre guardo il soffitto e mi immagino la Michela, fuori dalla finestra la domenica mattina.

"Allora, Martini, mi dai una risposta?"
"Ah. No. Guardi. Pensavo che. Ma, lo sappiamo tutti e due che non ha importanza quello che pensavo".

Dalle ultime file annuiscono.
Sento i colli muoversi dall'alto in basso, e dal basso all'altro: si. Sì. Sì. Dicono sì, anche i colli delle galline dell'ultima fila, stretti in sciarpe di lana e cotone.

"No, sai. Invece, a me interessa. E pure parecchio".
"E allora, sa che le dico? Che a me della sua lezione non me ne frega niente."

Adesso sono i maschi della seconda ad annuire, li sento e vedo, immagino, i loro sorrisi.
C'è il Marchi che sgnignazza.
C'è il Bini che mi fa cenno di chiedere scusa e stare zitto.
C'è il Parti che mi sussurra di continuare.

Silenzio totale, per la seconda volta in due minuti. Roba, che non era successo mai in sei anni, di avere un'attimo di silenzio.
La docente, si passa la bic blu dalla mano sinistra alla destra, poi di nuovo alla sinistra: adesso esplode.
Dirà che la scuola ha 18 anni non è obbligatoria, che il mondo ha bisogno di buoni muratori. Che.

"Senta, se non le dispiace esco".

Il silenzio è ancora più totale. Nessuno muove più il collo. Nessuno ride più.
Martini, statti zitto che questa 'mo ti ammazza - sento che Carla, quella di Napoli, mi dice.

E che mi ammazzi - penso.
Tanto stare in questa classe e sentire cose di cui non me ne frega niente, è pure peggio.

La docente, poi, dalla sua, sta bloccata.
La penna è distesa sul registro, il tappo vicino all'orologio. Le mani, si sfiorano per le dita.

Allora, io vado - dico. Afferro il pacchetto ed esco.

So che non avrei dovuto farlo, ma, per una volta, non ce la facevo proprio a sopportare una mattinata fra colli che annuiscono e penne che passano da una mano all'altra. Mi alzo. Le scarpe si incasinano sul pavimento; le guardo con gli occhi bassi. Cammino.

Martini? - ora, me lo sento, mi fa nero.
"Fumatene una, anche per me".

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