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IL PAPA' DI SAMUELE

CONCLUSIONE

Gabriele non mi ha mai chiesto se la sua condizione di "persona handicappata" potesse influire negativamente sul nostro rapporto…
Gabriele non si è mai fatto domande sul perché lo amassi; ha solo aperto le braccia e mi ha accolta, nonostante tutto, in bene e in male.
Gabriele non ha mai pensato, neanche per un istante di essere in una situazione psicologicamente inferiore alla mia.
Gabriele non dipende dalla mia persona ma mi lascia libera di scegliere senza mettere mai, davanti alle mie necessità, le sue difficoltà.
Gabriele non crede che un giorno mi stancherò della sua disabilità (non del suo amore) e che lo lascerò per un altro, che cammina!
Gabriele sa muoversi nel mondo senza il mio aiuto, sa scegliere cos'è meglio per sé, senza bisogno che gli altri decidano per lui.
Gabriele ha dei desideri: non vuole essere uno dei tanti, su cui gli sguardi altrui si posano, a volte con distrazione, altre con compassione…vuole dividere la sua vita con me, sposarsi, avere dei figli…

Gli altri si chiedono meravigliati: "Com'è possibile?"
Io rispondo : " Gabriele desidera tutto ciò che ci rende umani…"

Il sentimento che si mette tra noi e le persone che consideriamo diverse è la paura.
La paura di corpi che non sappiamo "manovrare", che giudichiamo sgradevoli, perché rigidi, non fluidi, plastici come i nostri.
Abbiamo paura di linguaggi che non sappiamo codificare, perché ci fermiamo solo su ciò che vediamo: corpi malati, gambe malferme, equilibri precari…
Preferiamo occuparci di loro come se fossero degli eterni bambini, da coccolare e  proteggere, utilizzando talvolta linguaggi infantili, perché, a nostro avviso, più semplici da comprendere, piuttosto che renderci conto che, indipendentemente da tutto, abbiamo di fronte degli adulti  il più delle volte in grado di scegliere, pensare, sentire, decidere, da soli.
C'è molta differenza tra l'avere necessità di essere accompagnati nella difficoltà e la capacità di scegliere per la propria vita: tuttavia, togliamo alle persone che "abitano" questi corpi, la dignità, negando loro il diritto all'amore, alla libertà di decidere, di sognare, di sperare.
Parliamo continuamente delle loro difficoltà e non consideriamo la possibilità di metterli in condizione di realizzare dei progetti, che siano lavorativi o famigliari e infine ci stupiamo quando riescono a prendersi il diritto di vivere pienamente la loro esistenza, quasi come avessero infranto una regola e andassero puniti. Ho perso il conto delle volte in cui, le persone, anche le più vicine, hanno messo in dubbio la sincerità dei miei sentimenti nei confronti di Gabriele, solo perché per loro era inconcepibile ammettere l'amore tra un "disabile" e una "normale". Quando parliamo "di loro" lo facciamo come se appartenessero ad una categoria a parte, una specie di piccolo mondo, all'interno di un altro, più grande, nel quale tutti hanno diritti, tra cui quello di calpestare il "piccolo mondo".

Legge 5 febbraio 1992, n°102

"LA REPUBBLICA GARANTISCE IL PIENO RISPETTO DELLA DIGNITA' UMANA E I DIRITTI DI LIBERTA' E AUTONOMIA DELLA PERSONA HANDICAPPATA E NE PROMUOVE LA PIENA INTEGRAZIONE NELLA FAMIGLIA, NELLA SCUOLA, NELLA SOCIETA'."

Questi diritti, sanciti dalla Costituzione, sono solo scritti, poiché nessuno li rispetta. Continuiamo a costruire strutture architettoniche non accessibili a persone con deficit motori e le costringiamo, con la nostra bieca ignoranza, a restare chiusi fra le pareti domestiche. Ogni cittadino dovrebbe riflettere sul fatto che basta avere un ginocchio rotto e una città, la propria città, diventa invivibile. Un gradino troppo alto, un marciapiede senza scivolo, una rampa di scale in un ufficio pubblico, tutto ciò che, neanche notiamo perché siamo sani, diventa un ostacolo enorme che , non solo è pericoloso per l'incolumità della persona, ma la costringe a chiedere aiuto,  anche quando, potrebbe farcela da sola. Così, con la pace nel cuore, ci prendiamo il diritto di farla  rinunciare alla propria indipendenza e con altrettanta  naturalezza la colpiamo ancora una volta nella propria dignità. Pensiamo per loro, facciamo per loro, parliamo per loro, senza considerare mai che abbiamo di fronte degli individui liberi che hanno gli stessi diritti di tutti. Mentre la Costituzione Italiana prevede delle leggi in tutela delle "fasce deboli", coloro i quali si propongono lo scopo di farle applicare, approvano una cultura della pietà e dell'assistenzialismo, non della crescita personale, dell'autonomia, del lavoro, che ridia, almeno in parte, alla persona, la dignità completamente calpestata.
La mia storia con Gabriele è nata per caso ed è cresciuta sino a diventare un sentimento profondo, nella gioia, nella reciproca condivisione e mai nella malignità, nella menzogna, nella pietà, come qualsiasi altra storia! La sola differenza è che a me chiedono il motivo dei miei sentimenti oppure, rimangono inorriditi pensando al "futuro di sacrifici e dolore " che mi aspetta se sposerò un disabile.
Sono stanca e ho provato a fare qualcosa per far capire alla gente che non esiste alcuna differenza tra noi e le persone con difficoltà, se non nella maniera di camminare, di esprimersi, di guidare… di fare delle cose che per noi sono naturali.
Ma ciò che abbiamo dentro, ciò che desideriamo, è ciò che ci rende uguali, perché è quello che vogliamo tutti: l'AMORE.
Parlo di quell'amore che ci aiuta a crescere, a realizzarci nelle nostre capacità, come persone, indipendentemente dal fatto che siamo sani o no.
Il bell'aspetto, la salute di ferro, il denaro, sono diventate il passaporto per entrare in una società che penalizza tutti i quali non corrispondono a questi requisiti, senza considerare le reali capacità di ogni persona, anche di chi non può condurre una vita "normale".
L'idea del libro nasce da questo desiderio e ho pensato di mandare un messaggio agli adulti attraverso la storia di un bambino, che vive la diversità, con gli occhi di chi, per amore, vede al di là di ciò che ognuno può apparire.

L'autrice

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