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Può uno sport costituire un punto di ricarica per l'autostima? Io ne sono totalmente certa e vi racconta come sta andando la mia avventura nel mondo delle arti marziali giapponesi

Dai, vieni a fare Kempo anche tu.
Ma sono in carrozzina!
...e quindi?
Il dialogo fra me ed il mio amico Sam iniziò in questa maniera. Era estate e, si sa, in estate dar forma ai sogni è più facile; sarà colpa del profumo di fiori nel vento, del sentirsi più tonici per la frutta di stagione, non saprei. Sta di fatto che a parlarne seduti sul divano sembrava un bellissimo volo pindarico, tipico di chi come me mangia pane ed utopia dal primo giorno della sua vita.
Spinta dalla curiosità iniziai a ricercare l'origine del Kempo e mi imbattei in questa descrizione:

<< Il Nippon Kempo (日本拳法) è un'arte marziale giapponese di antiche tradizioni, nata dallo sviluppo e dal miglioramento di altre arti e discipline marziali orientali in particolare cino – giapponesi. Le tecniche sono particolarmente efficaci poiché calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo si effettuano sia in piedi sia a terra in modo estremamente reale ed effettivo. Ciò nonostante è un arte marziale particolarmente sicura, poiché viene praticata con l'ausilio di speciali protezioni (le “corazze” - bo-gu) per  permettere, appunto, un combattimento molto reale e completo e ne consentono la pratica senza pericolo di traumi. È, dunque, un' arte non pericolosa che incorpora in sè tutto lo spirito, la filosofia, i principi e le tecniche delle più antiche arti marziali tradizionali. (Fonte: nipponkempo.it ) >>

Le parole “corazze”, “arte non pericolosa” e “sicura” mi coccolano orecchie e pensiero. Passano i mesi ed il profumo dei fiori nel vento si attenua: settembre, momento di agire.  La palestra offre una lezione di prova, adesso o mai più. Tutt'al più becco un NO! Il Sensei (1)  Renato è molto chiaro: “Tu ti adatterai al metodo. Noi adatteremo il metodo alle tue caratteristiche”. Trasuda marzialità e standogli davanti mi sento piccola piccola.

La Sensei Danila dal sorriso fulgente prende in carico l'esplorazione delle mie capacità fisiche, mi guida, mi sprona, ogni tanto mi bacchetta per eccesso di entusiasmo. Posso approfittare dell'avere attorno a me tante cinture nere, dalle quali carpisco segreti ed esperienze totalmente diverse. Non me ne accorgo nemmeno ma nel giro di una settimana sono in tutto e per tutto parte della palestra.
All'inizio, con me interagiscono soltanto i Sensei ed il mio Senpai (2) Sam che mi conosce come le sue tasche; che lo si accetti o meno, il disabile fa paura ed è difficile relazionarsi con l'ingombro di un corpo inusuale. Mi è riservato un allenamento speciale, protetto, quasi fossi di vetro; la cosa mi ferisce in silenzio, ma i Sensei se ne accorgono. Da qui inizia la magia: ci APRIAMO gli uni con gli altri, accettando di correre dei rischi a vicenda. I Maestri capiscono bene il mio bisogno di eccellere e di mettermi in competizione. Io, dal mio canto, accetto di cambiare l'usuale metodo col quale affronto in genere l'apprendimento.

E' un costante rimettersi in equilibrio su una corda dove non c'è mai un allenamento uguale all'altro, ciò che faccio lunedì potrei non essere in grado di farlo martedì. In palestra penso solo al momento da vivere e noto con entusiasmo che pian piano tutti iniziano a sciogliersi con me, a coinvolgermi nel cerchio dell'allenamento a terra, ad interagire con me adattando la loro esperienza al mio corpo. Mi meraviglio quando il Sensei mi mette in braccio i guantoni: “Certo che combatti anche tu, mica sei diversa dagli altri! E tieni chiusa quella guardia!” L'emozione corre così veloce che il cuore sembra volermisi proiettare fuori dal corpo (ed il mio Senpai Sam, navigato da anni di sport, intravede lo spiraglio emotivo e mi raggiunge con un bel pugno in pieno viso: la prossima volta imparo a tener alta la guardia!).

Viene girato un video (quello qui sotto)

 

Il video originale!!! Che spettacolo... Da riguardare ogni volta che non credo in ciò che posso fare!

Pubblicato da Lila Sûlwen Madrigali su Sabato 6 febbraio 2016

A settimane di distanza, continuo a guardarlo e vedo nell'espressione dei miei occhi quella di una ragazza che non conosco. Questa nuova Lila è combattiva, mordace, intensa e crede in ciò che fa, lezione dopo lezione, con entusiasmo: l'ultima volta che ho notato quello sguardo avevo 14 anni e giocavo a pallavolo. Non pensavo che sarei mai più riuscita a vedere sul mio viso tanta determinazione ed invece eccola lì immutata nel tempo, a far capolino fra le pieghe del kempogi. (3) .
Nessuna tappa da bruciare, nessun tempo prestabilito da rispettare, nessun confronto con i normodotati e così tanto da imparare, un nuovo senso al tempo. Sul tatami ci sono io, la mia carrozzina e NON l'essere diversamente abile: scacco matto alla disabilità.
Il Kempo mi salva. Cosa salva TE?

Lila Madrigali


(1) Sensei: è un termine giapponese che ha spesso l'accezione di "maestro" o "insegnante". Oltre a indicare i docenti scolastici, viene adoperato anche all'interno delle scuole buddhiste, delle arti e tecniche tradizionali, dove il "maestro" non viene visto come semplice insegnante di nozioni, ma anche come un individuo dotato di autorità ed esperienza, ovvero un "maestro di vita".

(2) Senpai: termine della lingua giapponese che, in ambito prettamente scolastico, viene ad indicare rispettivamente lo studente più anziano. E' comunque molto utilizzato anche in ambito lavorativo, sportivo o, in generale, all'interno di ogni tipo di gruppo organizzato.

(3) Kempogi: nome giapponese per la divisa da allenamento del Kempo.

Fonti: Wikipedia , Pagina facebook Disabilisolari

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