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Ore in piedi, barriere architettoniche, pregiudizi…una disabilità motoria può mettere a dura prova uno studente che decida di intraprendere la strada della medicina

Studiare medicina e, soprattutto, diventare un buon medico, sono una grande sfida e sogno di moltissimi giovani, che tuttavia solo una percentuale abbastanza esigua riesce a realizzare. Basti pensare che ogni anno solo 1 su 6 supera il test d’ingresso per l’accesso alla facoltà di medicina e, dopo la laurea, 1 su 2 avrà una borsa di studio che gli permetterà di specializzarsi.
Il percorso di studi di un medico, infatti, si articola su 6 anni di università (generalmente i primi 3 anni improntati sulla cosidetta “preclinica" e gli ultimi 3 dedicati alle vere e proprie “cliniche”, seguiti dall'esame di stato per ottenere l’abilitazione  lungo 3 mesi, specializzazione dai 4 ai 6 anni.
E’ un percorso molto impegnativo che suppone alla base grande motivazione e passione. Questo lungo e tortuoso percorso è difficile per chiunque e, probabilmente, lo è ancora di più per un ragazzo disabile. Qui di seguito cercherò di spiegare, in base alla mia personale esperienza, quali sono le maggiori difficoltà e problemi che deve affrontare un giovane portatore di handicap che decida di diventare medico e come consiglio di fronteggiarli. Andiamo con ordine:

TEST D’INGRESSO – Recentemente, sia il concorso per accedere alla facoltà di medicina, sia quello per entrare in specializzazione dopo la laurea sono diventati nazionali. Che cosa significa? Non si partecipa più per accedere solo ad una singola università, ma si può scegliere di concorrere contemporaneamente per più sedi con graduatoria unica in tutta Italia. Da un lato positivo dall’altro molto negativo, specie per chi ha oggettivi problemi ad andare a vivere lontano da casa: può essere pericoloso, in quanto si rischia di venire assegnati a sedi parecchio lontane rispetto al proprio domicilio. Certamente uno non è obbligato a concorrere per tutte le sedi, ma scegliendone solo poche al momento dell’iscrizione al concorso ha sicuramente molte meno probabilità di accedere rispetto a chi si candida per tutte le università. In più i concorsi non aiutano gli studenti disabili: infatti non sono previste agevolazioni per la scelta della sede per chi ha un’invalidità.

Facciamo un esempio pratico: supponendo che un disabile decida di tentare tutti i concorsi nazionali, potrà correre il rischio di non accedere a un ateneo per lui comodo, con poche barriere e magari ben collegato da casa sua. Rischia di venire assegnato ad una sede lontana da casa e magari poco accessibile; soluzioni? O tenta di adattarsi o è costretto a rinunciare.
E’ possibile anche iscriversi presso l’università dove si è stati assegnati e richiedere il trasferimento in un altro ateneo, ma bisogna tener conto che le regole di passaggio sono diverse da un’università ed università e, molto spesso, la domanda di trasferimento può essere fatta solo dopo un anno dall’iscrizione.
 
ANNI DELLA “PRECLINICA” -  Sottotitolo: studio matto e disperatissimo. In questo non c’è differenza se si è sulla sedia a rotelle o meno. Bisogna studiare tutti i giorni e per parecchie ore. Oltre a questo ci potrebbero essere dai laboratori da frequentare, utili anche se non fondamentali per chi vorrà fare il clinico o il chirurgo, ma particolarmente interessanti per chi vorrà dedicarsi, per esempio, alla medicina di laboratorio, genetica o microbiologia dopo la laurea. Queste specializzazioni sono ritenute essere sbocchi ideali per chi ha una disabilità (ambiente il più delle volte tranquillo, orari di lavoro più leggeri, non necessari lunghi spostamenti da un luogo all’altro, richieste quasi solo testa e manualità fine): in realtà dipende molto da un laboratorio all’altro, in quanto spesso i banconi sono troppo alti e ravvicinati per far sì che una persona sulla sedia a rotelle possa arrivarci e passarci in mezzo. Sono quindi specializzazioni da tenere in considerazione se piacciono e non si amano troppo le corsie d’ospedale, ma bisogna sempre informarsi accuratamente su come sono strutturati i luoghi di lavoro e, se interessati a frequentarli, comunicare le proprie esigenze personali a chi di dovere.

TIROCINI CLINICI IN CORSIA - Qui arriviamo al tasto dolente. Premettiamo che molti dei tirocini, nella maggior parte di università, sono organizzati in maniera pessima (tutor che non sanno di essere tutor; medici ed infermieri di reparto troppo presi dalle loro attività, per i quali gli studenti sono invisibili e ingombrano solo i corridoi del reparto; caos in cui nessuno si prende la briga di spiegare a chi deve ancora imparare una professione). Spesso, purtroppo, si trasformano in un’inutile perdita di tempo. E diventa ancora più frustrante se sei disabile. I periodi che in reparto si trascorrono in piedi come delle belle statuine sono di lunghezza biblica, contando per esempio che i giri visita possono durare ore ed in sala operatoria solo il chirurgo che opera può sedersi.  Se state pensando che medici ed infermieri, di fronte ad uno studente con evidente deficit motorio, siano portati naturalmente per via della loro professione ad aiutarlo (anche banalmente offrendogli una sedia su cui accomodarsi) … beh, state sbagliando. E’ uguale ed invisibile come i suoi altri colleghi. Anzi, spesso una grana in più perché con i suoi ausili ingombra maggiormente ed è più lento negli spostamenti. E nei casi in cui i tirocini siano in coppia con un altro studente normodotato ed il supervisore decida di affidare un compito a tali studenti (dal fare un fotocopia a effettuare un prelievo di sangue o raccogliere un’anamnesi), il più delle volte quello incaricato sarà il normodotato, indipendentemente dal fatto che questi sia meno e volenteroso di darsi da fare o preparato rispetto al disabile. Quest’ultima è un’evenienza alquanto sgradevole a cui, tuttavia, ho assistito più volte, determinata dal fatto che, probabilmente, chi ha un handicap viene visto come impacciato e più a rischio di combinare danni oppure si teme, per qualche vago senso di “pietà” pessimamente messo in atto, che affidare un compito anche banale ad un disabile equivalga a sfruttarlo e farlo stancare.  Ovviamente per fortuna non è sempre così, non in tutti i reparti e teste di medici regna questo odioso pregiudizio e non tutti gli internati sono organizzati così male.
Quello che consiglio è, tutte le volte che si deve iniziare un tirocinio, specie se particolarmente lungo ed importante, di andare qualche giorno prima a parlare con il tutor responsabile, spiegando a chiare lettere la propria condizione, i limiti che impone e come si pensa di ovviarli. Credo inoltre che sarebbe da evitare, qualora offerto, di accettare turni molto più brevi o un eccessivo alleggerimento del carico delle mansioni rispetto a quanto normalmente richiesto, poiché ciò risulterebbe meno formativo e si rischierebbe, in qualche modo, di sovrastimare il proprio handicap. Trascorrere molte ore in ospedale è pesante per tutti e mette a dura prova la resistenza fisica e psicologica di chiunque. E’ importante quindi “allenarsi” poco alla volta e, per quanto possibile, cercare sopportare nonostante la fatica, che per questa professione è da ritenersi pressochè “fisiologica”.  

DOPO LA LAUREA - Dopo la tanto sognata festa con la corona d’alloro in testa, è tempo di ricominciare tutto da capo. Innanzitutto la scelta della specialità: come già detto, se messi nelle condizioni adatte per lavorare, le specializzazioni di laboratorio sono uno sbocco ideale, così come la radiodiagnostica, l’anatomia patologica e le cliniche tendenzialmente più “tranquille”, (dermatologia ed ematologia, per esempio). Sconsiglierei, a meno che non si nutra un amore viscerale verso queste specializzazioni, le chirurgie, anestesia e rianimazione e medicina d’urgenza, in quanto, per forza di cose, è necessario eseguire manovre non sempre agevoli per chi ha restrizioni sul piano motorio. Per quanto riguarda le altre cliniche, dipende molto, oltre che da interessi ed aspirazioni personali, anche dal tipo disabilità che una persona possiede: ad esempio, è chiaro che chi ha un handicap che inficia molto l’uso degli arti superiori è meglio che si astenga dalle specialità in cui si praticano esami invasivi (come gastroenterologia, dove è necessario saper seguire gastroscopie e colonscopie). Come ho già scritto prima, bisogna saper riconoscere in maniera chiara ed oggettiva quali siano i propri limiti e capire quali procedure possano essere svolte, quali assolutamente no e quali richiedano qualche strategia compensatoria o ausilio. Potrebbe essere utile, ad esempio, una volta che si avrà il proprio ambulatorio, acquistare un letto da visita elettronico regolabile in altezza, in modo che chi ha difficoltà a sollevare le braccia o è seduto sulla sedia a rotelle riesca a visitare agevolmente il paziente.
Da prendere in considerazione, infine, anche la carriera come medico di famiglia, ma tenendo conto che i medici di base sono tenuti alle visite domiciliari qualora il paziente sia intrasportabile. E’ fondamentale, quindi, chiarire sempre e con tutti gli assistiti la propria difficoltà nel caso di abitazioni con barriere architettoniche e corretto oltre che professionale, in caso di pazienti che necessitino di frequenti visite a domicilio e vivano in case difficili da raggiungere, indirizzarli eventualmente a un altro collega.

In conclusione, anche se questo percorso è disseminato di ostacoli e difficoltà tali da scoraggiare anche la persona più motivata, se svolta con professionalità, buon senso e tanta pazienza, la professione del medico può essere davvero una delle più belle al mondo. Solo lavorando con serietà ed intelligenza e dimostrando una forte dedizione verso le proprie mansioni, si riuscirà a convincere della propria competenza i colleghi ed i pazienti più diffidenti di fronte ad un medico con disabilità. E fidatevi, ne vale veramente la pena.
 

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S.

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