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Disabilità trattamento integrazione.
Sono gli argomenti, strettamente correlati tra loro, che sono stati al centro del Congresso nazionale organizzato da Università degli studi di Padova e Giunti Organizzazioni speciali, e conclusosi ieri.
Il titolo ricalca la denominazione del Centro di Ateneo di Servizi e Ricerca per la Disabilità, la Riabilitazione e l'Integrazione, che da sette anni organizza l'evento annuale.
Un appuntamento per specialisti, che in tre giorni hanno trovato occasione di aggiornamento e confronto reciproco col contributo di docenti universitari provenienti da tutta Italia.

Abbiamo interpellato Salvatore Soresi, ordinario di Valutazione delle disabilità e di Psicologia delle disabilità all'Università padovana, e direttore del Centro di Ateneo di Servizi e Ricerca per la Disabilità, la Riabilitazione e l'Integrazione.
"E' il settimo congresso annuale da quando è sorto il Centro di ateneo per la disabilità, che è composto da un gruppo di ricerca e un gruppo che fa attività di supporto e programmazione delle attività riabilitative in favore di vari servizi.
Inoltre abbiamo attivato una rivista che si occupa in modo specifico di disabilità, il GID (Giornale italiano delle disabilità)
"

Quali aspetti avete sottolineato con il convegno 2007?
"Quest'anno si celebra il trentennale della legge 517 che ha ufficializzato e rese legittime quelle esperienze di inserimento che trent'anni fa in modo un po' nascosto e non evidente molti di noi avevano già cominciato a fare. E' un'occasione importante per fare il punto su cosa e se qualcosa è cambiato a proposito del trattamento e dell'integrazione della disabilità".

Cosa è emerso? Dal vostro punto di vista è cambiato qualcosa?

"Molti di noi che a quei tempi dovevano lottare per far riconoscere i diritti delle persone a utilizzare i servizi comuni e a uscire dalle istituzioni chiuse adesso vedono riconosciute dalla legge quel loro impegno. Possiamo chiedere le stesse cose facendoci anche forza delle normative vigenti. Sicuramente le persone con disabilità sono più evidenti.
Se noi a quei tempi volevamo incontrare qualche persona con disabilità, dovevamo andare a cercarle o negli istituti o nei manicomi, dove anche bambini molto piccoli venivano inseriti.
Oggi invece basta fare la coda alla fermata dell'autobus per vederli.
Quindi non rappresentano più quel gruppo minoritario o invisibile che un tempo poteva apparire.
I servizi poi sono diventati più frequenti e sono più uniformemente distribuiti a livello nazionale, anche se esistono delle grosse differenze tra regione e regione per tipologia di disabilità.
Ma sicuramente da trent'anni a questa parte la possibilità di usufruire di servizi è molto più consistente.
Anche se ci sono tutta una serie di nodi che vanno ancora risolti: a livello scolastico, ad esempio, le situazioni di maggiori difficoltà sollevano ancora problemi di accettazione, di emarginazione e di non risposta aderenti alle caratteristiche e ai bisogni delle persone da parte delle istituzioni, delle istituzioni scolastiche in primo luogo.
Poi rimangono ancora delle scuole cosidette speciali: c'è almeno il 3% dei bambini che dovrebbero frequentare la scuola elementare che non frequentano quella comune ma servizi ancora istituzionalizzati. Quindi c'è ancora molto da fare
".

Si riferisce alle scuole specifiche per bambini con sordità?
"Sì ma non solo. Esistono anche per bambini con grossi ritardi mentali, con plurimenomazioni.
E' come se si dicesse che l'inserimento può essere permesso solo a qualcuno, in modo particolare a quelli che hanno disabilità più lievi. Invece la lotta per l'inserimento è stata fatta per i più gravi
".

L'impressione è che le leggi ci siano ma trovino difficoltà nell'applicazione. Condivide questa analisi?
"Sì, c'è sia un problema di difficoltà nell'applicazione ma anche un problema di competenze e di preparazione di coloro che dovrebbero garantire l'integrazione. Noi abbiamo sposato come nazione la via dei supporti speciali all'integrazione, sto pensando in modo particolare agli insegnanti di sostegno, o agli addetti all'assistenza.
Per quanto mi riguarda rappresentano un grosso ostacolo all'integrazione.
L'integrazione dovrebbe comportare delle modifiche al sistema educativo a vantaggio di tutti coloro che frequentano un servizio e che presentano un elevato livello di eterogeneità.
I servizi devono essere in grado di rispondere in modo personalizzato a prescindere dalla patologia di queste diversità, e quindi da questo punto di vista c'è ancora molto da fare.
Purtroppo i tempi per il cambiamento sono lenti e i tempi per ottenere formazione e competenze a carico degli operatori dei familiari e così via sono molto lunghi.
Purtroppo in un'ora ci sono solo 60', e in una giornata ci sono solo 24 ore… Il tempo scorre troppo velocemente per le persone che aspettano un intervento
".

In questi trent'anni è cresciuto anche l'interesse da parte di coloro che non vivono direttamente un'esperienza di disabilità. Al convegno che avete organizzato la sala, pur capiente, è piena.

"Sì, sicuramente i partecipanti al nostro convegno sono tutti degli specialisti, gente che lavora sul campo, interessati al mondo della ricerca. Questo è un convegno che non si propone di sensibilizzare alla disabilità ma di mantenere a livelli elevati le competenze professionali di chi o a livello di ricerca o di intervento si occupa di queste tematiche. L'affluenza è sicuramente numerosa, l'aspetto più interessante e gratificante come organizzatori è che sono le persone che da 7 anni vengono al nostro convegno e che trovano quindi occasione di confronto e dibattito".

INFO:

Centro di Ateneo di Servizi e Ricerca per la Disabilità, la Riabilitazione e l'Integrazione
Via Belzoni, 80 - 35121 Padova
convegno.chdr@unipd.it
Tel. 049 8278461
Fax 049 8278451

[Alberto Friso]

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