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Intervento delle Associazioni e delle Coop. Sociali.

Questo intervento, concordato fra alcune Associazioni e Cooperative sociali di Ferrara, intende sottolineare alcuni aspetti per noi importanti rispetto a ciò che sta avvenendo nelle scuole ferraresi a proposito dell'integrazione scolastica degli alunni disabili. Prima di tutto è doveroso sottolineare la volontà, da parte degli organizzatori di questo convegno, di promuovere un'occasione di confronto e di verifica; essendo quello dell'integrazione nella scuola un processo dinamico che si può interpretare e sviluppare differentemente in contesti diversi, è opportuno trovare il tempo e le occasioni per fermarsi a riflettere su ciò che accade, per fare in modo che ciò che è stato fatto da altri, sia di aiuto nella costruzione di ciò che si potrà fare in futuro.Vorremmo poter sviluppare più a fondo i temi che tratteremo ma, considerata la natura del convegno, ci limiteremo ad una esposizione di problemi che, a nostro avviso, necessitano di una soluzione adeguata.Ci scusiamo in anticipo con chi ci ha già sentiti segnalare certi disagi ma finché noteremo una diversità di trattamento tra alunni aventi lo stesso diritto di studiare, non ci mancherà la forza di riproporli.Iniziamo l'intervento metaforicamente così come inizierebbe la scuola un alunno o una alunna: dal primo giorno.Continuiamo a chiedere da anni che questa giornata indimenticabile: il primo giorno di scuola appunto, sia uguale per tutti. Ancor oggi, a distanza di anni, continua ad essere un inizio diverso. Perché gli insegnanti di sostegno non sono presenti fin dal primo giorno ma arrivano nelle classi anche dopo un mese dall'inizio della scuola? Le conosciamo già le risposte ufficiali a questa domanda ma proprio perché paradossali, in quanto facilmente risolvibili con adattamenti organizzativi del Ministero, continuiamo a chiederci il perché. È vero che l'insegnante di sostegno non rappresenta l'unica risorsa che la scuola possiede per risolvere i problemi dell'integrazione degli alunni disabili: anche noi ci crediamo. Ma la scuola ci crede? Dalle varie manifestazioni di delega che ben conosciamo, ci sembra che la strada per preparare, formare ed aggiornare in maniera integrata ed efficace le figure professionali dei dirigenti, docenti, collaboratori e personale ausiliario, sia ancora lunga e piena di barriere. Non stiamo parlando di barriere architettoniche: perché queste non sono le sole che rendono difficoltoso l'accesso reale, degli alunni con problemi, nella scuola (e probabilmente quelle più facili da superare), ma di altri tipi di ostacoli: ben più ingombranti, di gran lunga più resistenti e difficili da rimuovere perché legati alle persone: sono impedimenti di tipo culturale e professionale cioè quelle resistenze a considerare l'integrazione come un cammino da condividere, un progetto da assumere insieme e non da delegare a qualcuno che, a seconda della situazione, potrà essere l'insegnante di sostegno, l'educatore comunale, gli ausiliari o la famiglia. Condividiamo, lo abbiamo già detto, l'idea che il processo di integrazione nella scuola non si basi soltanto sulla presenza degli insegnanti di sostegno, ma siamo anche fortemente consapevoli che il successo scolastico non si facilita di certo assegnandoli in ritardo o addirittura riducendo le risorse educative di cui qualcuno ha più bisogno.Siamo per una scuola delle uguali opportunità per tutti: dove il concetto di uguaglianza dev'essere correlato necessariamente ai bisogni e alle potenzialità di ogni singolo alunno o alunna.
Allora sarà proprio l'assegnazione delle risorse umane nella sua qualità (chi? Insegnanti, educatori, obiettori di coscienza, personale ausiliario) e quantità (per quante ore?) che diverrà presto variabile importante e non secondaria per far sì che le prime difficoltà si possano ridurre. Quindi la traducibilità delle "diagnosi funzionali", in termini scolastici, dovrebbe poter essere massima. Riconosciamo all'Azienda USL lo sforzo di aver cercato e di cercare uniformità di linguaggio nelle certificazioni e nelle "diagnosi": sarebbe davvero utile se così fosse. Le riunioni precedenti l'assegnazione di personale potrebbero giovarsi della chiarezza ed essere quindi ricondotte alla condivisione ed al successivo accordo. La "comprensibilità scolastica" delle diagnosi permetterebbe agli esperti del Provveditorato, dell'Azienda USL, del Comune, della Provincia di comprendere insieme le necessità di un alunno o di un'alunna e, di conseguenza, condizionerebbe positivamente l'assegnazione del personale di rispettiva competenza. Tutto ciò, unito alla progettualità che le singole scuole potrebbero esprimere per preparare l'accoglienza, consentirebbe alla diagnosi di essere davvero "funzionale" ad un "intervento educativo didattico adeguato". Riteniamo infatti che l'integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap non sia soltanto un processo di socializzazione ma anche, e soprattutto, di apprendimento. In alcuni momenti abbiamo pensato che, dopo anni di battaglie, l'inserimento nella scuola fosse un problema in grossa parte risolto e abbiamo capito che, per realizzare l'integrazione, bisognava puntare molto sugli apprendimenti. Ma risulta sempre difficile generalizzare situazioni o problemi simili: oggi non ci sentiamo di affermare che il problema della integrazione sia risolto in tutti gli istituti dei vari ordini scolastici. E il discorso sugli apprendimenti meriterebbe più attenzione e studi più approfonditi. Senza dubbio nella scuola sono stati fatti passi avanti dagli anni 70 ad oggi; un cambiamento culturale c'è stato e sono intervenute norme legislativi importanti (forse talmente fitte da poter creare, in qualcuno, alibi nei confronti delle proprie responsabilità). Eppure nonostante ciò, a noi sembra che oggi non si stia procedendo in maniera uniforme e coerente ma in modo non coordinato e frammentario; la sensazione è che si cerchino "rimedi" piuttosto che "soluzioni". Il periodo che molti chiamano degli "inserimenti selvaggi", oltre ad aver messo duramente alla prova la scuola e gli alunni, si è caratterizzato in maniera decisa per l'impegno sociale che trovava nella scuola il suo risvolto operativo in una motivazione che portava a discutere, ricercare, tentare percorsi, darsi da fare. La scuola è cresciuta anche così.Ci sembra che oggi, invece, l'attenzione sia più spostata verso le norme, le responsabilità, i ruoli, i mansionari e si discuta meno del "cosa posso fare io insegnante, operatore sanitario, amministratore per…": abbiamo la sensazione che tutto ciò non stia aiutando la scuola a crescere ancora.Viene da chiedersi: ci crediamo veramente quando diciamo che il riconoscimento dell'handicap e della diversità possano contribuire all'arricchimento delle persone e al miglioramento degli apprendimenti di tutta la classe? O è soltanto una bella affermazione che possiamo condividere teoricamente, ma che non ci mette in discussione? Noi ci crediamo e riteniamo che il riconoscimento della diversità sia un valore ed "i valori, essendo di natura pratica, non possono che derivare da un modo di operare e di vivere". Pensiamo che, per raggiungere l'obiettivo, il coinvolgimento di chi può e deve fare, dovrà essere completo. Chi rinuncia a mettere in campo le proprie capacità e volontà nella soluzione di questi temi ne è responsabile nei confronti della società. Il riconoscimento del diritto allo studio e delle più elementari norme di convivenza non è un valore aggiunto che possa andare in detrazione a qualsiasi altro diritto. Il diritto soggettivo deve essere diritto collettivo.Vorremmo non essere fraintesi: non stiamo intervenendo in maniera critica per il gusto di farlo, ma in virtù di quello spirito costruttivo che ci sembra di aver dimostrato in questi anni di lavoro all'interno del Gruppo Interistituzionale Provinciale per l'Integrazione. Quel gruppo a cui la Legge Quadro del 1992 ha affidato "compiti di consulenza e proposta al provveditore agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per la conclusione e la verifica dell'esecuzione degli accordi di programma, per l'impostazione e l'attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento". Quel gruppo composto dai rappresentanti della scuola, delle aziende USL, degli enti locali, e delle associazioni delle famiglie. Quello stesso G.L.I.P. che, in diverse realtà nazionali ha prodotto aggiornamento, formazione, cultura e che invece, nella nostra provincia, ha mostrato forti limiti e grandi carenze. È pur vero che, nella nostra provincia quel gruppo ha avuto vicissitudini molto particolari e casualmente sfortunate ma è altrettanto certo che non ha potuto incontrare le vere realtà problematiche delle scuole. Fra le altre cose, constatiamo che, dopo otto anni dalla Legge 104 (febbraio 1992), la provincia di Ferrara non si è ancora dotata di strumenti che regolino la collaborazione interistituzionale: non sono ancora stati stipulati i cosiddetti "accordi di programma". Il tipo di risposta che le istituzioni ferraresi hanno dato recentemente, nella forma di una Convenzione comunale, non è idonea ad affrontare la complessità di situazioni che la nostra provincia vive da tempo. Anche il convegno di oggi avrebbe un altro significato se i singoli interventi di questa giornata avessero come denominatore comune un contesto di accordo di programma. Nel 1983 la nostra provincia, in particolare il comune di Ferrara, si è distinta a livello nazionale per la stipula di Protocolli d'Intesa che hanno dato vita ad una sperimentazione importante e fruttuosa. Ora, non capiamo se siano gli strumenti che mancano o che devono essere tarati alle nuove realtà politiche, o se sia la volontà di costruire insieme che debba essere seriamente discussa. (continua).

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