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A diciannove anni, Nicola "è tornato a scuola: una scuola professionale per giardinieri. E' stato straordinario, come non avesse mai rinunciato a continuare gli studi. Anche se ha sempre fatto fatica ad apprendere, la scuola ha rappresentato per lui un centro vitale. Da lì ha sempre tratto vitalità, desiderio di lottare con se stesso e con gli altri; lì si è temprato, ha sofferto, ma ha imparato cosa vuol dire doversi adattare per vivere veramente, per farsi apprezzare per quello che è, per imporsi anche quando non ci sente accettato. A scuola ha imparato di chi poteva fidarsi e da chi, invece, si doveva difendere, a controllare le sue reazioni, ad avere relazioni con gli altri, a uscire insomma da quel guscio in cui si era rifugiato" (Basano, 1999, p. 129). Nicola oggi ha trent'anni. Ha imparato a rinvasare, a fare le talee, a tenere i magazzini e l'ufficio, a lavorare da solo e con gli altri. E' assunto in un vivaio. Porta a casa uno stipendio. Ha imparato a organizzarsi una cifra settimanale per le sue spese personali. In casa, si sente grande e responsabile; vive un rapporto "più paritario". A 4 anni, era un handicappato grave; "un grosso carenziato, un bambino da buttare dalla finestra", come rispose la neuropsichiatra infantile presso la quale era stato a lungo in osservazione. La storia di Nicola, semplice e drammatica, è quella della "resurresione di un essere umano, di un bimbo di quattro anni restituito alla vita dal lungo e coraggioso amore di una donna , aiutata e sorretta dalla solidarietà di altre generose persone", come commenta Alessandro Galante Garrone (ibidem, p. 11). Osserva Norberto Bobbio: quel "rottame umano" che Giulia prende in collo, per portarlo dall'ospedale a casa, e fargli da mamma, "dimostra che il problema degli handicappati, come tanti altri problemi che ci assillano, trascende la sfera dei rapporti economici, e non può essere risolto se non trascendendola" (Bobbio, 1994).

Nicola Quirico - bomarzo@tin.it

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