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una mano esce dal pc verso un'altra mano esterna protesa verso essaLa tecnologia, e in particolare Internet, può molto aiutare la persona con disabilità a interfacciarsi con il mondo esterno, anche se talvolta, pur rimanendo una ottima opportunità, può portare a nascondere se stessi. Ci porta la sua testimonianza una ragazza non vedente

Mi chiamo Elena Brescacin. Sono una persona non vedente dalla nascita e desidero condividere con disabili.com la mia esperienza relativa ad un fenomeno di cui nell'ambiente della disabilità si parla pochissimo: l'utilizzo smodato della tecnologia, erroneamente definito come "dipendenza da internet".

Per me la rete internet è stata un'ottima opportunità, iniziata con la fine delle scuole superiori, quando per fare tutte le ricerche per l'esame di stato non ho avuto bisogno dell'aiuto di altre persone; mi ha permesso di crescere, di apprendere, e anche di trovare una professione ed è tutt'ora un'opportunità, però nel mezzo dei miei ormai 16 anni di esperienza in rete, ce ne sono stati otto in cui da ausilio per la mia autonomia, la rete è diventata un problema. Internet infatti mi ha reso accessibili moltissime informazioni utili, ma anche qualcosa che avrei preferito rimanesse inaccessibile: lo sguardo delle persone di fronte alla disabilità. Compassionevole, curioso, morboso, sono tanti i modi di guardare una persona con disabilità, però se tu non li vedi, non hai assolutamente idea di cosa significhi, e ignori che questa situazione esista. Ma se lo sguardo diventa parole?

Se dici su internet, in una chat pubblica, "sono non vedente", susciti reazioni tra le più svariate alle quali non ero preparata, e nessuno di chi mi stava vicino lo era, perché a fine anni 90 non c'era tra i miei familiari tutta questa consapevolezza di cosa fosse internet; pertanto per me ogni parola fuori posto che veniva scritta, era una coltellata. Dai "poveretta", ai "mi dispiace", ai "se non ci vedi, fai l'amore come tutti gli altri", "come fai a capire che sei pulita quando vai al bagno", e così via via peggiorando. Nel migliore dei casi, le reazioni nelle chat erano: "sei un falso, non è possibile che non vedi, non fai un errore di battitura nemmeno a pagarlo". All'epoca non ero consapevole che l'ignoranza va combattuta con la calma, spiegando le cose, e dove serve rispondendo a tono: mi sentivo umiliata e non riuscivo a sopportarlo. Chi me lo faceva fare? Essere donna, ed essere disabile, in internet erano due condizioni di svantaggio, almeno così le consideravo, e mi sono creata un'identità maschile senza problemi di vista.

All'inizio era un gioco, mi rilassava, mi sentivo libera di esprimere sotto falso nome tutte le mie fragilità, e apprendere tutto quello che mi serviva di informatica senza correre alcun pericolo. Col tempo però mi sono resa conto di non riuscire più a stare senza. Io vivevo la mia vita normale, lavoravo, mangiavo, dormivo, ma almeno cinque minuti, dovevano essere dedicati alla chat tramite questo falso nome. Elena era la batteria che faceva vivere l'altra identità. Finalmente nella vita di tutti i giorni, fuori da internet, potevo dimostrare di essere quello che credevo gli altri volessero di me. Una persona perennemente forte, che non creava problemi a casa né al lavoro, lasciando quindi le mie fragilità alla chat sotto falso nome; peccato che non mi rendevo conto di quanto invece gli altri da me volessero solo che io fossi me stessa, nel bene e nel male. Alla fine mi sono trovata imprigionata nel personaggio che io stessa avevo creato, e finalmente un giorno degli amici si sono accorti e mi hanno messo davanti alla realtà dei fatti: ciò che stavo facendo poteva anche sfociare in problemi legali, come ad esempio sostituzione di persona, e soprattutto prima o poi avrei potuto tradirmi con le mie stesse mani.

Uscirne è stato molto duro, perché ho dovuto prima di tutto ammettere a me stessa che nonostante la mia conoscenza dell'ambiente internet, mi ci sono fatta imbrigliare. Spesso e volentieri do come unica causa del problema il fatto che all'epoca non ero preparata alle reazioni altrui di fronte alla disabilità, quelle che spesso non si esprimono a parole ma solo a sguardi, invece questa è soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tutto è partito dall'adolescenza, quando tutti hanno un motivo per non piacersi; a me non piaceva il mio carattere espansivo ma contemporaneamente affettuoso e fragile in più non mi piaceva di non piacermi e facevo tutto per nascondermi, diventando diffidente e problematica nelle relazioni; la disabilità è stato un ostacolo fino a un certo punto: quando non ti piace come sei, allontani anche chi invece non ne avrebbe alcun motivo.

Nel mondo della disabilità il rischio di frustrazione e bassa autostima è alto, inutile nasconderselo; certo i casi estremi ci sono - come la storia di Luis Mijangos, che danneggiava gli altri per farli sentire come si sentiva lui -  o quelli come me che si sono creati una seconda identità, ma c'è anche chi giustifica qualsiasi azione, insulti compresi, con il fatto di essere disabile ed avere soltanto internet con cui passare il tempo. Beh, ci sono mille modi di passare il tempo su internet, senza essere di peso al prossimo.

Internet ha mille opportunità da offrire, e non soltanto date dalla comunicazione on line con altra gente; chi ha degli interessi può aprire un blog, si possono usare gli smartphone per migliorare la propria autonomia personale in caso di disabilità visiva, si possono coltivare liberamente le proprie passioni e condividerle con altri. Ma avere atteggiamenti compulsivi, di qualsiasi tipo, significa essere di peso agli altri pur stando chiusi nella propria stanza.

Elena Brescacin


Ps: segnaliamo una intervista recente a Elena su questo tema, realizzata e mandata in onda dalla trasmissione tv Lucignolo di Italia uno.


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Redazione


 

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