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barriere architettoniche segnalate con foto a padovaStudenti di Psicologia del’Università di Padova hanno chiesto ai cittadini di sperimentare le barriere architettoniche della città


I cittadini di Padova possono essere “incappati” nei giorni  scorsi in fotografie sparse qua e à, che ritraggono luoghi della città nella quale vengono messi in evidenza barriere e ostacoli alla mobilità di una persona in carrozzina, in particolare della zona universitaria del Portello. Gradini senza rampe, scivoli poco liberi…insomma, tutto l’inventario di barriere architettoniche  urbane che la persona in carrozzina conosce, ahinoi, molto bene.

E’ un modo diretto, questo, per comunicare l’urgenza della accessibilità di una città, bypassando la comunicazione più didascalica o istituzionale, spingendo così i cittadini a guardare la realtà concreta di chi si trova quotidianamente a slalomare ostacoli per fruire degli spazi urbani.

Dietro questa iniziativa, dall’esplicativo titolo “Io non riesco a passare”, c’è un gruppo di ragazzi, studenti di Psicologia dell’Università di Padova, che hanno creato questo progetto per rendere visibile ciò che ai più non è. Dare una visibilità pubblica, quindi, a una "categoria" di bisogni che spesso il cittadino comune non considera, semplicemente perché non li conosce o non si è posto il problema.


Per questo motivo i ragazzi, sotto la guida del prof. Vieno, ed alla luce degli assunti della psicologia di comunità, hanno dato vita a un progetto con lo scopo di far sì che i cittadini padovani possano guardare la loro città, in un certo senso, “con altri occhi”. “Il principio dell'inclusione è stato il punto di partenza di ogni nostra scelta – dicono gli studenti – considerato alla luce del quadro teorico di riferimento, il termine “inclusione” , concettualmente costruito in senso antitetico rispetto al termine “esclusione”, è da intendersi come libero accesso al godimento di una cittadinanza formalmente concessa a tutti, ma di fatto soggetta a molteplici discriminazioni”.

A livello operativo, il progetto “Io non riesco a passare” si è articolato attraverso diverse fasi, la più interessante delle quali ha visto i ragazzi scendere direttamente in campo, chiedendo ai passanti di muoversi su una sedia a rotelle, improvvisando una sorta di “role playing” su strada, spingendo le persone nei panni di una persona con disabilità la quale, nell’impossibilità di proseguire su un percorso cittadino, deve trovare strategie alternative per giungere alla meta prescelta. “Accanto a scene drammaticamente esilaranti – dichiarano i ragazzi - molti sono stati i momenti di riflessione sostenuti dall’incredibile entusiasmo dei cittadini che,  più che cortesemente collaborativi, si sono dimostrati realmente interessati alla nostra causa”.  Insomma, provare per capire. E’ la filosofia che sta alla base anche di un’altra interessante iniziativa, come quella della Skarrozzata, nella quale cittadini non disabili sono invitati ad utilizzare e spostarsi in città con una sedia a rotelle.


La riflessione del gruppo di lavoro, al termine dell’esperimento, è insieme amara ma propositiva:  “L’individualismo condito con insensibilità che sembra annidarsi in ogni angolo delle comunità che abitiamo non è altro che una risposta ad iniziative di coinvolgimento e di partecipazione ormai obsolete ed inflazionate, reiterate a tal punto da aver perso qualsiasi significato e qualsiasi carica innovativa per il target prescelto, e che spesso si basano su un irrealistico canale monodirezionale, per cui il messaggio di sensibilizzazione passa senza intoppi dal “sensibilizzante” al “sensibilizzato”. Noi abbiamo voluto costruire insieme alle persone il significato del messaggio di cui esse stesse erano destinatarie, ottenendo risultati sorprendenti”.

Insomma, l’esigenza e il problema si comunica, sì, ma male, e in questo modo non solo non raggiunge i destinatari del messaggio, ma neppure innesca una volontà di cambiamento, invece necessaria. Andare a sfiorare direttamente le certezze o le conoscenze delle persone, chiamandole in prima persona a sperimentare la realtà: questo è lo strumento che, sono sicuri i promotori del progetto, fa toccare corde attive di cambiamento. “Un individuo che ha acquisito un pensiero critico e che sente di muoversi in una comunità interconnessa anche a livello organizzativo diventa così in grado, in linea con il principio dell'empowerment, di determinare e sostenere un cambiamento permanente nell'ambiente circostante”, dicono i ragazzi. Ed è quello che ci auguriamo tutti.


Qui il video della “prova su strada”

 

Si può sostenere la diffusione del progetto seguendo la pagina Facebook dedicata


In disabili.com:

BARRIERE ARCHITETTONICHE: CHE FINE HANNO FATTO I PEBA?

NEL PARCHEGGIO, MEGLIO SOLI CHE “AIUTATI”


Francesca Martin


 

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