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talassemiaObiettivo: riorganizzare l'offerta sanitaria in favore dei circa 7.000 pazienti thalassemici italiani

Fornire ai decisori pubblici una bussola per organizzare in modo razionale l'assistenza dei pazienti thalassemici italiani, e garantire su tutto il territorio equità e omogeneità nell'accesso alle risorse più innovative sia terapeutiche che diagnostiche. Il tutto sulla base della metodologia dell'Health Technology Assessment (HTA). È questo lo scopo del progetto "Rete interregionale per la Thalassemia: HTA dei percorsi diagnostico-strumentali e terapeutici e monitoraggio dell'accumulo di ferro" (HTA-Thal) promosso dalla Regione Basilicata e finanziato dal Ministero della Salute (ex art.12) e dalla Fondazione Giambrone, presentati qualche giorno fa a Roma.

Il progetto HTA-Thal, coordinato dalla professoressa Adriana Ceci, in qualità di Responsabile Scientifica, si basa su una mappatura della distribuzione regionale e territoriale dei pazienti thalassemici tracciata mediante il Registro Interregionale delle Thalassemie.

In Italia sono oltre 7.000 le persone affette da questa malattia ereditaria a carattere cronico, innescata da un difetto genetico che compromette il funzionamento del trasporto dell'ossigeno nel sangue, portando l'emoglobina a livelli incompatibili con la vita. Decisive, per la sopravvivenza dei pazienti, le terapie ferrochelanti che permettono di eliminare il ferro che si accumula nel sangue e negli organi in seguito alle trasfusioni.

Grazie alla disponibilità di circa 2.000 pazienti afferenti a 60 Centri di cura che hanno acconsentito alla raccolta anonima di informazioni relative all'uso dei farmaci, al monitoraggio del ferro, ai servizi offerti, ai vantaggi osservati con le cure ed ai problemi di tipo sociale, organizzativo ed economico, nell'ambito del progetto HTA è stata ottenuta la più ampia raccolta di dati osservazionali a oggi nota nel settore della thalassemia.

Dalla mappa emergono indicazioni che mostrano i cambiamenti in corso: l'aspetto più importante è la progressiva e importante sostituzione, soprattutto nei pazienti più giovani, del chelante parenterale desferoxamina, con i chelanti orali deferiprone e deferasirox. I pazienti più anziani (e nell'anagrafe il 5% ha già più di 45 anni) non abbandonano però la desferoxamina, il farmaco che ha rappresentato il primo salvavita per questa popolazione.

Altro dato significativo che emerge è che l'uso di una risorsa diagnostica evoluta come la Risonanza Magnetica epatica e cardiaca per monitorare gli accumuli di ferro sta diventando una pratica consolidata: tuttavia, solo il 30% dei pazienti ha eseguito controlli MRI sistematici durante il periodo di osservazione dello studio.

E il rapporto dimostra come per i pazienti talassemici spesso l'assistenza sia ancora a macchia di leopardo. La disponibilità delle strutture e delle più accreditate metodologie per il monitoraggio del ferro non è ancora distribuita in maniera omogenea nel territorio. Dal 10 al 52% dei pazienti continua a spostarsi per avere accesso a determinate pratiche diagnostiche.


INFO:

http://www.fondazionegiambrone.it



PER APPROFONDIRE:

http://it.wikipedia.org/wiki/Talassemia



Redazione

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