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Dopo anni, sembra che le professioni di educatore professionale socio – sanitario, educatore professionale socio - pedagogico  e pedagogista stiano acquisendo il peso, la rilevanza e la trasparenza che meritano. Anche a livello normativo

Moltissime persone lavorano ogni giorno a stretto contatto con la disabilità, moltissime persone lavorano in quello che nel linguaggio quotidiano viene chiamato “mondo del sociale”. Tantissimi sono inoltre i giovani aspirano a trovare occupazione in questo settore. Proprio a queste categorie si rivolge questo pezzo che cerca di spiegare in parole semplici i compiti dell’educatore e del pedagogista, le molteplici sfumature di queste figure il percorso  che porta all’ottenimento delle qualifiche e dei titoli.

PERCORSI FORMATIVI E INQUADRAMENTO - Lo spunto  principale è da ricercarsi nei recenti sviluppi dell’attività parlamentare: la Camera dei Deputati ha infatti approvato, pochi giorni or sono, una proposta di legge - che ora passerà al vaglio del Senato - la quale riordina e chiarisce il percorso formativo e l’inquadramento di questi professionisti.
Come chiaramente  spiegato dall’ On Santerini nella sua relazione, la proposta in esame ha l’obiettivo primario di disciplinare l’esercizio delle professioni di educatore professionale socio - pedagogico, educatore professionale socio - sanitario e pedagogista, valorizzandole e garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità. Vi è inoltre  assoluto bisogno di assicurare  servizi e interventi educativi di  indiscussa qualità ed omogenei  su tutto il territorio nazionale.

L’EDUCATORE SOCIO – PEDAGOGICO -  Per realizzare tutto ciò, la legge stabilisce innanzitutto che l’esercizio delle attività di educatore socio - pedagogico sia consentito solo a chi è in possesso delle relative qualifiche, attribuite all’esito del percorso di studi universitari, in particolare di quello afferente  alla classe dei Corsi di Laurea L-19 Scienze dell’educazione e della formazione.

IL PEDAGOGISTA - La qualifica di pedagogista è invece attribuita solo a chi consegue un diploma di laurea nelle classi di laurea magistrale in Programmazione e gestione dei servizi educativi (classe LM- 50), Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua (classe LM-57), Scienze pedagogiche (classe LM-85), oltre che a docenti di ruolo di scienze della formazione, ricercatori e dottori di ricerca.
Nello specifico, quella del pedagogista, giova ricordarlo, è una professione di livello apicale che svolge funzioni di coordinamento e progettazione nei servizi socio-educativi. Per valorizzare tale livello ulteriore, raggiunto a seguito di una laurea magistrale, la legge prevede uno specifico titolo abilitante che contribuisce a meglio definire la formazione di questo professionista accanto alle altre figure presenti nei servizi sociali come l’assistente sociale o lo psicologo.

L’EDUCATORE SOCIO-SANITARIO - Accanto alle due figure finora analizzate, la legge ne delinea una terza rimasta fino ad ora assai nebulosa, ossia quella dell’educatore professionale socio – sanitario.
Viene ribadito che attività di quest’ultimo resta disciplinata dal decreto del Ministro della sanità n. 520 del 1998, come professione sanitaria dell’area della riabilitazione (classe di laurea L/SNT2).
In base al medesimo decreto ministeriale, la formazione dell’educatore professionale avviene presso le strutture sanitarie del Servizio sanitario nazionale e le strutture di assistenza socio-sanitaria degli enti pubblici individuate con protocolli d’intesa fra regioni e università. Le università provvedono alla formazione attraverso la facoltà di medicina e chirurgia, in collegamento con le facoltà di psicologia, sociologia e scienze dell’educazione.

DIVERSI RUOLI  MA INTERDISCIPLINARIETÀ - Si può quindi dire che la distinzione appena illustrata trovi il proprio fondamento oggettivo nella differente struttura dei corsi di laurea e nelle diverse funzioni che i due gruppi di educatori sono chiamati a svolgere.
La limitazione agli aspetti educativi per l’intervento dell’educatore professionale socio-pedagogico nell’ambito socio-sanitario trova ragione nel fatto che non avrebbe le competenze necessarie per svolgere compiti di tipo riabilitativo o tanto meno terapeutico nel campo della salute; viceversa, proprio la formazione ricevuta dall’educatore professionale socio-sanitario nei dipartimenti e facoltà di medicina li rende adatti ad operare in campo sanitario e socio-sanitario anziché prettamente pedagogico o socio-culturale.
Il legislatore però non si limita ad effettuare formali distinzioni ponendo lacci e lacciuoli ma, al fine di garantire un ventaglio formativo ampio e completo, sottolinea la necessità  di favorire in via prioritaria l’attivazione di corsi di laurea interdipartimentali o interfacoltà tra strutture afferenti all’area medica e all’area delle scienze dell’educazione e della formazione per il conseguimento di un diploma di laurea nella classe L-19 ovvero nella classe L/SNT/2.
Allo stesso tempo, le università dovranno agevolare il riconoscimento del maggior numero di crediti allo studente/ studentessa che, in possesso di uno dei due titoli, voglia conseguire anche l’altro, proprio per sottolineare la necessità di collegamento e di interconnessione tra i due tipi di formazione.

Certamente non possiamo dimenticare che questo progetto di legge ha compiuto solo i suoi primi passi nelle aule parlamentari ma, come per un bimbo, ogni passo è un progresso e noi quindi non possiamo che rallegrarci di ciò (insieme a molte associazioni di categoria) sperando che crescendo il suo carattere non cambi troppo.

In disabili.com:
CENTRI DIURNI: SCRIVERE IL PROPRIO FUTURO DIALOGANDO CON LA CITTA'

Dott.ssa Agnese Villa Boccalari

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