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microscopi LABORATORIO DI ricercaLa principale misura era il tempo trascorso tra l'inizio della terapia e il posizionamento della persona rIspetto alla scala di disabilità EDSS al livello 6

Gli studi scientifici sulla sclerosi multipla sono numerosi e spesso, come accade per patologie di cui ancora non si conosce l'origine, dai risultati apparentemente contraddittori. Tra le diverse "scuole di pensiero", vi è ad esempio quella del cosiddetto metodo Zamboni,  che individua nella insufficienza venosa cronica una correlazione definita fondamentale con la SM, con tutta una serie di considerazioni sui trattamenti clinici atti a contrastare la malattia.

Gli studi scientifici su questa malattia neurologica, dicevamo, sono molti, e talvolta i loro risultati in contrasto tra loro. Ultima in ordine di temo, è una ricerca canadese coordinata da Afsaneh Shirani e Helen Tremlett  (University of British Columbia, Vancouver, Canada) e pubblicata sulla rivista Journal of American Medical Association (2012, 308 (3) :247-256) , dalla quale risulterebbe che, osservando i dati di più di 2.000 persone con SM, non ci sia alcuna riduzione della progressione della SM nelle persone trattate con interferone beta, rispetto a coloro che non erano stati trattati.

Lo studio ha preso in esame le informazioni del database della British Columbia, che raccoglie dati di quattro centri clinici. Ad essere presi in esame, persone con SM recidivante-remittente, tra di esse, 868 che erano state trattate con interferone beta, 829 persone che non sono state trattate e 959 controlli storici (persone che erano trattate prima dell'approvazione degli interferoni per la SM).

La principale misura utilizzata era il tempo trascorso tra l'inizio della terapia e il posizionamento della persona riguardo la scala di disabilità EDSS* al livello 6 (quello che richiede un bastone per camminare 100 m). Ebbene, i dati hanno registrato i seguenti tempi medi attivi di follow-up: 5,1 anni per il gruppo trattato con interferone beta, 4,0 anni per il gruppo di controllo contemporaneo, e 10,8 per il gruppo di controllo storico. Il risultato, quindi, ci dice che coloro che sono stati trattati con interferone hanno avuto sostanzialmente le stesse probabilità di progredire verso un valore di EDSS 6, al pari di coloro  che non erano stati trattati. Valori confermati anche nel prendere in considerazione il traguardo EDSS4.
Va ricordato che i ricercatori sottolineano anche che questo studio non è stato capace di individuare un sottogruppo di persone con SM che invece potrebbe effettivamente aver avuto una riduzione della progressione attraverso l'uso dell'interferone.

I limiti di questo tipo di studi, sono la loro base "osservazionale" e a breve periodo: non è infatti possibile stabilire se i gruppi di controllo utilizzati per questa ricerca potrebbero avere un beneficio futuro dall'uso del trattamento. Allo stesso modo, va considerata la variabile di risposta individuale al trattamento, per cui alcune persone possono rispondere positivamente, altre meno.

Insomma, ancora una volta, il dibattito sull'efficacia a lungo termine delle terapie modificanti il decorso della malattia, sulla progressione della SM, non trova soluzione definitiva, e gli studi continuano. L'unica cosa certa è la necessità di non fermare la ricerca.


*La scala di disabilità per pazienti affetti da sclerosi multipla - EDSS - va da 0 a 10, con punteggi a salire, a seconda del grado di disabilità


Per approfondire:

Lo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association


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Francesca Martin


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