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I Comuni non possono prevedere criteri extra ISEE per stabilire le quote di compartecipazione al costo dei servizi in strutture di accoglienza per le persone con disabilità o anziane

Torniamo sulla questione dell’ISEE (l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente) e della sua valenza per calcolare la capacità contributiva di una persona con disabilità. Come forse ricorderete, una lunga diatriba riguardante il DPCM 159/2013 (detto anche Decreto ISEE)  aveva infine portato, nel 2016, a stabilire che accompagnamento e altre forme di indennità legate alla disabilità non formano reddito poichè rappresentano un compenso alla inabilità, quindi non devono essere inseriti nel reddito ai fini ISEE.


Ne consegue quindi che per l’accesso a prestazioni agevolate di varia natura che si basano sul reddito (come ad esempio servizi socio-sanitari) deve essere utilizzato solo ed esclusivamente il criterio dell’ISEE, e non è quindi legale, per selezionare i beneficiari di questo genere di servizi,  inserire regole “aggiuntive” che prevedano il conteggio di queste altre entrate.

Nonostante questo, è stato rilevato che alcuni Comuni creano criteri “extra”, con valenza derogatoria ma addirittura, i alcuni casi, sostitutiva a quelli dell’ISEE. Tradotto: per accedere, ad esempio, a una RSA capita che vengano introdotti da alcuni Comuni dei regolamenti che prevedono di fatto delle forme di pagamento integrativo del servizio, a carico dell’assistito, basandosi su “scaglioni” che vengono raggiunti conteggiando anche la percezione di  pensioni legate alla disabilità. In questo modo l’ISEE va ad alzarsi, facendo superare al beneficiario la soglia (individuata dal Comune) per accedervi a costo zero, con la necessità quindi di integrare di tasca propria.

La cosa non è legale, poiché l’ISEE è l’unico strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati che deve essere usato per gestire l’accesso a queste prestazioni. In pratica, se ho un ISEE pari  a zero e percepisco l’indennità di accompagnamento, va comunque considerato solo ed elusivamente il mio iSEE pari  a zero, per stabilire la mia “capacità contruibutiva”. Lo ha ribadito anche una sentenza del Consiglio di Stato del 13 novembre scorso (la n. 6371/2018).

IL FATTO – Il consiglio di Stato si è espresso dopo il ricorso avanzato dai genitori (di cui la madre amministratrice di sostegno) di una persona con disabilità grave, inserita presso il Centro Diurno per persone con Disabilità (CDD) di un comune Bresciano, contro la sentenza del TAR Lombardia che aveva respinto il loro ricorso, mosso contro il Comune che aveva approvato una delibera con cui era stata determinata la misura della compartecipazione dell’utente al costo del servizio, anche a fronte di valori ISEE nulli o estremamente bassi. La Delibera comunale, del 2016, stabiliva che l'ISEE preso a riferimento per calcolare le quote di compartecipazione al costo dei servizi di CDD, CSE, SFA e SDI fosse per tutti pari a 0, ma prevedendo anche delle percentuali di contribuzione dei costi a carico del beneficiario, ovvero:

- del 30% per i percettori di pensione di invalidità e indennità di accompagnamento

- del 5% per i percettori della sola pensione di invalidità.

Con una nota del 2017, il Responsabile dei servizi sociali definiva la percentuale di contribuzione per la frequenza al servizio CDD nella misura del 30%, pari ad € 2.661,30 annui.

C’è da evidenziare che nel frattempo, a livello nazionale, il legislatore interveniva sul DPCM 159/2013 e, con l’art. 2 sexies DL 42/2016 conv. in L. 89/2016, escludendo espressamente dal reddito disponibile i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell'IRPEF.

IL RIGETTO DEL TAR - IL TAR di Brescia, allora, aveva respinto la richiesta dei ricorrenti ritenendo che la richiesta di un contributo del 30% non fosse sproporzionata, anche a fronte di redditi nulli o bassissimi, considerando anche che

a) il percorso sfociato nell’elaborazione delle norme regolamentari è stato condiviso con numerose Associazioni di settore, del territorio e sindacali, e prevede un monitoraggio sul suo andamento e una “rivisitazione” nel mese di settembre 2017;

b) la formulazione dei criteri non esclude la possibilità di un intervento ulteriore nel caso di bisogno del singolo e del nucleo familiare, dal momento che la deliberazione giuntale n. -OMISSIS-/2016 stanzia un’ulteriore somma di 5.000 € destinata al riequilibrio di eventuali anomalie che dovessero insorgere nell’applicazione delle norme.

LA DECISIONE DEL CONSIGLIO – Il Consiglio ha invece ribaltato la sentenza, dando ragione ai genitori della persona disabile, ricordando, tra le altre cose, come “(…) non sia possibile accreditare in subiecta materia spazi di autonomia regolamentare in capo ai Comuni in distonia con i vincoli rinvenienti dalla sopra richiamata cornice normativa di riferimento al punto da consentire – come qui avvenuto - la introduzione di criteri ulteriori e derogatori rispetto a quelli che il legislatore riserva, dopo aver accordato preferenza all’indicatore ISEE, in prima battuta, allo Stato e, in via integrativa, alla Regione.
Nel caso di specie, ed in mancanza di allegazioni di ulteriori ed integrativi criteri approvati dalla Regione Lombardia, l’ISEE resta, dunque, l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva".

Per approfondire:

Il testo completo della sentenza


Il testo aggiornato del D.Lgs .42/2016 con art. 2-sexies del D.L. 29/3/2016 n. 42, introdotto dalla legge di conversione 26/5/2016 n. 89

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