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Quando il lavoratore è in permesso retribuito previsto dalla L.104/92 per assistere il famigliare con grave handicap deve stare sempre con lui? Cosa rischia in caso di abuso?


Assistere un congiunto disabile non autosufficiente, lo sappiamo, è una attività che richiede moltissime energie. Per questo motivo, al fine di supportare la famiglia, vi è la possibilità, per il lavoratore dipendente, di usufruire di permessi per tre giorni al mese, previsti dalla Legge 104/92, che danno diritto a una assenza dal lavoro giustificata e retribuita.

Come dicevamo, naturalmente l’assenza dal lavoro deve essere giustificata da attività di assistenza che il lavoratore presta nei confronti del parente con handicap, da assistere. A questo punto si apre una questione molto importante, che mette a confronto sempre più spesso lavoratori e datori di lavoro: è necessario stare insieme alla persona da assistere durante tutto il tempo in cui si sta usufruendo dei permessi previsti dalla Legge 104? E’ possibile assentarsi o comunque dedicarsi anche ad altre attività?

Su questo si è già espressa la Cassazione (Cass. sent. n. 54712/16 del 23.12.16.), ribadendo che non è necessario stare 24 ore su 24 in presenza della persona da assistere: è infatti consentito anche ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere  ai propri bisogni ed esigenze personali, anche se questo ovviamente non significa usare quei giorni come ferie.

Ma cosa succede se nei giorni di permesso il lavoratore viene visto dedicarsi ad attività apparentemente estranee all’assistenza del familiare, durante quello che dovrebbe essere il suo orario di lavoro? La cosa autorizza l’azienda al licenziamento? E’ questo il caso esaminato dalla Corte di Cassazione, che è tornata sulla questione. In questo caso, il lavoratore che usufruiva dei permessi di cui all’art. 33 , comma 3 della L. 104 del 1992 per assistere la madre e la sorella entrambe in condizione di handicap grave,  era stato visto fare la spesa, recarsi in posta e fermasi  a parlare con un amico, durante l’orario di lavoro, in cui stava usufruendo del permesso retribuito. Ebbene, la Cassazione ha rigettato il ricordo dell’azienda, dando ragione al lavoratore. Vediamo perchè.

COSA SI INTENDE PER ASSISTENZA
- Secondo la Corte di merito, l'assistenza prevista dalla disposizione in esame e a cui sono finalizzati i permessi non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente. L’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi  dall'assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare.

FARE LA SPESA E ALTRE INCOMBENZE -  Rispetto al caso in oggetto, al lavoratore veniva contestato il fatto che si fosse recato a fare la spesa che, dopo una breve sosta, aveva portato a casa della madre. Nell’orario  di fruizione del permesso, il lavoratore si era inoltre recato allo sportello Postamat e poi dal tabaccaio. Infine, aveva incontrato un amico geometra per discutere di una perizia tecnica. Tutti questi tre comportamenti sono stati ritenuti dal Giudice come attività lecite, in quanto è stata ricostruita la loro riconducibilità a favore delle congiunte in situazione di handicap grave: la spesa era stata fatta per la madre, era stata poi verificata l’esistenza di libretti di risparmio postale intestati  a madre e sorella del lavoratore, e si è infine appurato che la discussione avuta dall’interessato col geometra riguardava una perizia tecnica che il professionista aveva redatto su richiesta dell’’interessato, per conto della madre, per problemi di infilitrazione nel suo appartamento.

QUANDO C’E’ ABUSO - Abbiamo visto quindi come, nel caso di specie, la Corte territoriale abbia escluso la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso di cui il lavoratore ha usufruito, avendo ricollegato, in base alle prove raccolte, le attività a specifici interessi ed utilità dei congiunti in tal modo assistiti.
Quando invece le attività non siano riconducibile a una forma, per così dire, indiretta, di assistenza, siamo in presnza di illecito e abuso dei permessi. In questo caso si configura l’ipotesi di:
-     abuso di diritto, poichè tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione
dell'affidamento riposto nel dipendente,  ed integra,
-    un'indebita percezione dell'indennità ed uno sviamento dell'intervento assistenziale nei confronti dell'Ente di previdenza erogatore del trattamento economico.


Per approfondire:

Il testo della sentenza (Cass. ord. n. 23891/18 del 2.10.2018)



Su questo argomento:
 
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Redazione


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