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Una recente sentenza della Corte di Cassazione  sul licenziamento di un lavoratore che usufruiva dei permessi previsti dalla Legge 104/92per assistere un familiare con handicap grave

Nell’ambito di permessi lavorativi da Legge 104/1992 previsti per chi deve prendersi cura ed assistere un familiare con disabilità, sorgono non di rado di rado dei contenziosi tra lavoratore e datore di lavoro.

La legge, infatti, è volta a tutelare il lavoratore – per il cui tramite si realizza il primario diritto all’assistenza del familiare cui sia stato riconosciuto l’handicap grave  -ma anche la controparte dell’azienda. Alcune sentenze in merito hanno infatti ricordato i casi in cui è legittimo licenziare chi assiste un familiare disabile  ma anche quelli in cui i diritti del lavoratore prevalgono sulla burocrazia.

Torniamo sulla questione, alla luce di una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha ribadito come il fulcro intorno al quale ruotano i permessi dell’art. 3 comma 3 della Legge 104/92  sia la persona con handicap e i suoi diritti, che possono imporre limitazioni al potere del datore di lavoro, ad esempio in ambito di trasferimento di sede.


IL LAVORATORE TRASFERITO E LICENZIATO - Il caso è quello di un lavoratore beneficiario delle disposizioni previste dalla Legge 104/1992 in quanto familiare convivente di una persona con handicap grave che abbisogna di assistenza. Il lavoratore in questione era stato trasferito senza il suo consenso da una sede ad un’altra che distava pochi chilometri sia dalla prima che dalla sua abitazione, ed era stato adibito a mansioni equivalenti (presso la mensa di un carcere). Di fronte alla comunicazione del trasferimento di sede, il lavoratore non aveva però prestato il suo consenso, e non si era successivamente presentato al lavoro presso la nuova sede. A fronte di quella che la sua ditta aveva ritenuto una assenza ingiustificata, il lavoratore era stato licenziato.


IL RICORSO AL TRIBUNALE – Contro questo licenziamento, che aveva ritenuto illegittimo, il lavoratore era quindi ricorso al tribunale di Napoli, il quale aveva rigettato la sua istanza. Stesso giudizio era stato emesso anche in secondo grado, dalla corte d’Appello di Napoli, ritenendo legittimo il licenziamento. Fino alla sentenza della Corte di Cassazione (la n. 24015 depositata il 12 ottobre 2017) che ribalta invece il giudizio.


LA TUTELA DELLA PERSONA CON DISABILITA’ – La Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, riportando la decisione alla funzione originaria della Legge 104/92,  e  in particolare al principio sancito dall’art.33, comma 5. La Cassazione ha ricordato come la tutela della persona con disabilità passi anche attraverso l’assistenza del familiare, per consentirgli un adeguato livello di sviluppo ed inserimento nel tessuto sociale: "la disposizione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell'art. 3, secondo comma, Cost., e della Carta di Nizza che, al capo 3 - rubricato Uguaglianza - riconosce e rispetta i diritti dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l'autonomia, l'inserimento sociale e la partecipazione alla vita della comunità (art. 26) e al capo 4 - rubricato Solidarietà - tratta della protezione della salute, per la quale si afferma che nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un alto livello di protezione della salute umana”.

La Corte poi si riferisce anche alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con legge n. 18 del 2009 dall'Italia (C. Cost. n. 275 del 2016) e dall'Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE (Cass. 12911/2017, 25379/2016, 2210/2016).

Inoltre la sentenza ricorda che l’efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle condizioni di assistenza.
Infine la Cassazione ricorda che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra "se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". Il datore di lavoro ha pertanto anche questo onere probatorio.


LA PREVALENZA DELLE ESIGENZE DI ASSISTENZA – In definitiva, la Corte dichiara che, stante il necessario bilanciamento di interessi e di diritti tanto del lavoratore quanto del datore di lavoro, aventi ciascuno copertura costituzionale, dovranno essere valorizzate le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore, occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte (Cass. 25379/2016, 9201/2012).
E’ su questo punto – ovvero sulla non verifica da parte della Corte territoriale delle eventuali ripercussioni assistenziali di questo trasferimento sull’assistenza della persona disabile, e soprattutto sulle effettive ragioni organizzative  produttive dell’azienda, che la cassazione ha rigettatola decisione della Corte d’Appello di Napoli, dando di fatto ragione al lavoratore licenziato.

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Redazione

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