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speciale diversity management

L’innalzamento dell’età pensionabile porta a una serie di cambiamenti all’interno delle imprese, legati sia a problemi di incompatibilità con alcune mansioni, come quelle che richiedono lavoro fisico, sia a dinamiche relazionali tra generazioni molto diverse tra loro, che si trovano a condividere lo stesso ambiente professionale.

In Europa si stima che il 30% degli uomini e delle donne nella fascia d’età compresa tra 50 e 64 anni necessita di un adeguamento urgente del posto di lavoro, per prevenire i rischi di pensionamento anticipato e di inabilità al lavoro.

La Direttiva 2000/78 dell’UE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 216 del 2003, stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, vietando le discriminazioni basate sull’età, senza fissare un limite anagrafico e lasciando ai singoli Stati membri il compito di verificare eventuali violazioni. Le parti sociali europee, inoltre, si sono impegnate, con l’accordo quadro autonomo sull’invecchiamento attivo e l’approccio intergenerazionale siglato nel 2017, a facilitare una partecipazione attiva e una permanenza più lunga sul mercato del lavoro dei lavoratori più anziani.

Sul piano pratico, tuttavia, un recente studio dell’INAPP-Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche ha rilevato come sia impossibile delineare un quadro generale degli interventi di age management, in quanto essi sono solitamente applicati a singole realtà aziendali e disomogenei tra loro.

Si può, al contrario, rilevare che lo strumento più utilizzato dalle aziende è quello del prepensionamento che, però, costituisce una misura in contraddizione con le esigenze di estensione della vita lavorativa.

Volendo sintetizzare i dati disponibili sulla situazione italiana: se da un lato l’età non sembra costituire un fattore discriminante al momento dell’assunzione, dall’altro le pratiche di age management, che dovrebbero favorire il prolungamento della vita lavorativa e l’accompagnamento alla pensione, vengono spesso ignorate (soprattutto dalle grandi imprese) o considerate in misura minima (dalle PMI).

COSA NON FARE

Quando leader e manager si preoccupano di ciò che percepiscono come problemi generazionali, basandosi su stereotipi non supportati dalla pratica o da dati oggettivi, possono mettere in atto sforzi inutili, inappropriati, dispendiosi, oltre che illegali e con conseguenze potenzialmente dannose.

In primis, non è sufficiente semplicemente descrivere le differenze intergenerazionali, ma occorrerebbe analizzare in profondità le generazioni e il modo in cui influenzano il cambiamento, prestando attenzione a quelle differenze tra i dipendenti che effettivamente influiscono sulle performance e sui risultati dell’organizzazione, nonché ai trend demografici che caratterizzano la forza lavoro attuale e futura.

Inoltre, sarà importante non dare per scontato che un dipendente in particolare abbia una certa caratteristica in quanto appartenente a una generazione piuttosto che a un’altra e, al contrario, sarà fondamentale scansionare l’ambiente, identificare le tendenze e i cambiamenti reali nella forza lavoro, capire come sviluppare e far progredire le qualità positive.

COSA FARE

Le best practice sull’age management derivano, come prevedibile, dalle grandi imprese, alcune delle quali hanno una lunga tradizione su queste politiche aziendali.

Seppure il contesto e le condizioni delle grandi rispetto alle piccole imprese siano molto diversi, alcune strategie possono favorire la diffusione su larga scala delle politiche di age management.

Nel dettaglio possiamo individuare:

  • riduzione del carico di lavoro fisico, introducendo forme di flessibilità tra le mansioni o modalità di lavoro condivise (job sharing);
  • introduzione di brevi pause tra i processi lavorativi;
  • valutazione dei rischi per la salute quando si pianificano i turni di lavoro;
  • adattamento dell’ambiente di lavoro (barriere fisiche e sensoriali, miglioramenti ergonomici delle postazioni di lavoro, ecc.);
  • aumento dei congedi per lavoratori anziani;
  • flessibilità e riduzione dell’orario lavorativo, senza incidere sui contributi pensionistici;
  • flessibilità nelle finestre di pensionamento.

Queste iniziative andrebbero sempre accompagnate da misure che favoriscano un clima aperto e supportivo tra i lavoratori.

In linea di massima, le buone pratiche di gestione di gruppi e organizzazioni, attribuendo un certo peso all’età, sono:

  • attuare politiche di recruitment neutrale per l’età;
  • garantire pari accesso alla formazione per tutte le fasce d’età;
  • implementare sistemi di carriera e di promozione non basati sull’età;
  • attivare percorsi formativi per i dirigenti sul diversity management per età e sulla promozione di una cultura aziendale inclusiva dell’età.

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