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Si è tenuto a Bologna lo scorso 5 luglio il convegno "Lotta all'esclusione sociale: le opportunità del lavoro temporaneo", organizzato dalla Fondazione Adecco per le Pari Opportunità. L'incontro ha visto la partecipazione di alcuni importanti esponenti del mondo politico-imprenditoriale italiano, tra cui il Sen.Tiziano Treu e il Presidente della Tiflosystem SPA, Davide Cervellin, Coordinatore del Gruppo di Lavoro Handicap di Confindustria. Piccola delusione, invece, per l'assenza dell'atleta Juri Chechi, brillantemente sostituito dalla collega Diana Bianchedi, vicepresidente del CONI, che ha esposto un progetto innovativo per il reinserimento lavorativo degli atleti di alto livello che hanno terminato l'attività agonistica.
Il convegno, pur essendo incentrato sulle opportunità che il lavoro temporaneo nello specifico riserva alle categorie più svantaggiate, ha anche fatto chiarezza sulle possibilità lavorative offerte ai disabili dal panorama italiano attuale. Le ricerche in questo ambito, purtroppo, parlano chiaro, e fanno emergere una realtà che molti conoscono per esperienza, ma che a livvelo istituzionale si cerca di ignorare, o dissimulare: le aziende sono estremamente diffidenti nell'assumere persone appartenenti alle categorie protette. Come ha dichiarato senza mezzi termini Davide Cervellin, "Il mondo imprenditoriale in generale è convinto che un disabile sia una non-opportunità". Un disabile è dunque visto come un peso dalle aziende, un peso ineluttabile vista l'obbligatorietà dell'assunzione di persone disabili sancita dalla Legge 68/99. E sebbene questa legge abbia apportato indubbi vantaggi a categorie di fatto escluse dal mondo del lavoro, tuttavia ha forse peggiorato questo diffuso pregiudizio degli imprenditori: "Il fatto che ci sia una legge che obbliga gli imprenditori ad assumere i disabili, - ha spiegato Cervellin - poco aiuta a comprendere le potenzialità di questi individui: la diffidenza del sistema imprenditoriale non è stata dissipata dalla legge, che anzi ha irrigidito le posizioni reciproche."
Come risolvere, dunque, un pregiudizio tanto diffuso quanto immotivato? Una soluzione c'è: si tratta di far sperimentare alle aziende le capacità di lavoratori, "disabili" soltanto di nome, senza però vincolarle a priori a un'assunzione definitiva. Ecco dunque l'importanza di tutte quelle forme di lavoro "temporaneo" che permettono agli imprenditori di testare le abilità dei neo assunti: dal lavoro interinale vero e proprio, allo stage, al tirocinio, associati, ove necessario, a un adeguato percorso formativo in grado di sviluppare le competenze necessarie allo svolgimento delle varie mansioni. E queste forme di lavoro vanno attentamente valutate nelle loro potenzialità: "Bisogna innanzitutto chiarire una volta per tutte che Lavoro temporaneo non significa Lavoro precario", ha affermato Nicola Monti, Presidente Settore Metalmeccanico di Assindustria Bologna, al quale ha fatto subito eco il Sen. Treu: "Non è vero che il futuro sarà del lavoro temporaneo: le aziende hanno bisogno di lavoratori fidelizzati e costanti, quindi non cesseranno di esistere i "posti fissi". Il lavoro temporaneo è, e resterà sempre, semplicemente un'ottima modalità di accesso al mondo del lavoro."
Prova evidente della validità di questo metodo di inserimento lavorativo sono i risultati conseguiti nel campo dalla Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, esposti da Claudio Soldà, Direttore Operativo della Fondazione. Nata nell'Aprile 2001, prendendo a modello l'analoga fondazione spagnola "Fundaciòn Adecco para la Integraciòn Laboral", la Fondazione Adecco per le Pari Opportunità dedica il proprio impegno a cinque tipologie di individui, tradizionalmente svantaggiate nei confronti del mondo del lavoro: i disabili, gli over 40, le donne con carichi di famiglia, i disabili di lunga durata e gli ex-atleti.Questi i promettenti risultati conseguiti dalla Fondazione nell'arco di poco più di un anno:

INSERIMENTI LAVORATIVI

1° SEMESTRE 2002

TOT. da APRILE 2001

DISABILI

300

627

OVER 40

9245

24700

DONNE

1630

1820
(progetto partito nel settembre 2001)

EX ATLETI

60

183

 

FORMAZIONE

1° SEMESTRE 2002

TOT. da APRILE 2001

FORMAZIONE DI BASE

93

183

FORMAZIONE PROFESSIONALE

174

245

Da questi risultati si possono trarre alcune importanti considerazioni. L'inserimento in ambito lavorativo degli Over 40 risulta molto più facile di quello dei disabili e delle donne con carichi di famiglia: dai dati risalta chiaramente l'esistenza di "barriere", soprattutto psicologiche, nei confronti di queste due categorie di lavoratori. Un dato confortante però, almeno per i disabili, è che questi, una volta inseriti nel mondo del lavoro, riescono nel 90% a ottenere un contratto a tempo determinato, mentre per le altre categorie la percentuale si attesta a livelli nettamente più bassi, del 40% circa. E' chiaro dunque che, una volta sperimentate le capacità dei lavoratori disabili, la diffidenza nei confronti delle loro capacità tende a scomparire.
Ma che tipo di disabili sono quelli che hanno ottenuto un posto di lavoro? Si tratta di individui con disabilità fisica medio-bassa, di non udenti, non vedenti, di persone Down, e più raramente di persone con problemi psichici. E quale tipo di lavoro può essere adatto, per esempio, a una persona affetta da sindrome di down? L'abbiamo chiesto a Laura Ciardiello, responsabile del settore Disabili della fondazione Adecco: "Le persone affette da Sindrome di Down sono molto abili in lavori di tipo ripetitivo, e sanno svolgere il loro impiego con tale impegno al punto che, se viene tolto loro l'incarico, possono addirittura entrare in crisi." Conferma la tesi dell'alta produttività lavorativa dei disabili anche Davide Cervellin: "Di recente, una ricerca del Prof. Paolo Feltrin ha dimostrato che esistono delle produzioni ripetitive in cui i disabili con deficit di tipo intellettivo o comportamentale sono assolutamente produttivi, e superano di gran lunga il rendimento di dipendenti extracomunitari, attualmente preferiti ai disabili da parte delle aziende."
E quanto agli altri tipi di disabilità, le difficoltà di inserimento non sono insuperabili: per i disabili motori, i non udenti e i non vedenti si tratta semplicemente di introdurre in azienda gli ausili tecnologici atti a superare i deficit della persona assunta.
In quali regioni italiane è più facile trovare lavoro per un disabile? "Abbiamo moltissima richiesta di persone appartenenti alle categorie protette da parte di aziende del Nord Italia, che a volte fanno fatica a trovare disabili da assumere. La situazione invece si capovolge per quanto riguarda il Sud: qui abbiamo molti candidati, anche in possesso di titoli di studio elevati, come la laurea, ma pochissime richieste di assunzione." - Afferma Laura Ciardiello
E qual è il segreto del successo della Fondazione Adecco? Ovvero, quali sono i passi da seguire per garantire a un disabile di ottenere un posto di lavoro? Dal convegno è emersa l'importanza della formazione di base e della formazione professionale, ormai indispensabili poter essere veramente competitivi. Un problema centrale nella ricerca di lavoro da parte di un disabile (e non solo, perché la questione si estende anche ai cosiddetti normodotati), è che spesso questa persona non ha avuto la possibilità, per problemi personali o vicende familiari, di ricevere una preparazione adeguata. Questa difficile situazione è stata ben illustrata da Claudia Romano, Responsabile dell'Ufficio Inserimento Lavorativo Disabili e Utenze Svantaggiate per l'Assessorato Lavoro e Politiche Sociali della Provincia di Bologna: "Gli iscritti alle nostre liste di collocamento hanno per lo più il diploma di terza media, mentre un buon 40% ha addirittura solo la licenza elementare; pochissimi i diplomati, e ancora meno i laureati. Senza contare che l'età media di queste persone è piuttosto avanzata, aggirandosi sui 45-50 anni." Il modello operativo della Fondazione Adecco ha successo, proprio perché non trascura la formazione dei propri candidati, organizzando i corsi in base alle esigenze concrete delle aziende che accoglieranno i lavoratori selezionati, e in base al compito che questi ultimi dovranno svolgere. Naturalmente questo settore viene affidato a esperti, ovvero a enti di formazione accreditati che erogano corsi di ogni tipo.
Ma come dovrebbe essere, in generale, questa formazione, per risultare sempre efficace in ogni settore, indipendentemente dall'Ente che la eroga? A spiegarlo senza giri di parole ci ha pensato Davide Cervellin, che al convegno ha dimostrato di avere le idee chiarissime sull'argomento: "Bisogna costruire dei percorsi di formazione personalizzati. I corsi riservati a disabili sono una stortura, perché il fatto che si debba raggiungere un numero minimo di iscritti per poter attivare il corso, fa sì che ci sia poca selezione e che si mescolino persone dalle capacità e dalle esigenze molto diverse tra loro. Perché ci si batte moltissimo per l'integrazione scolastica, e per quella lavorativa non si fa nulla? Perché i corsi di formazione devono separare disabili e normodotati? Per superare i deficit dei disabili bastano delle compensazioni di tipo tecnologico, poi il corso può essere unico per tutti. In realtà la cosa più importante è che è seguire il disabile in questi corsi ci sia del personale qualificato, in grado di sostenerlo e di far conoscere agli altri le sue necessità e il comportamento da tenere con lui."
Cervellin ha poi sottolineato gli effetti positivi che spesso l'inserimento di un disabile provoca all'interno di un'azienda: "Spesso inserire un disabile medio grave in un'azienda determina l'adozione da parte dell'azienda stessa di standard di qualità superiori, dovuti al fatto che, per accogliere un disabile, i processi lavorativi devono essere modificati in senso innovativo, con l'utilizzo di nuove strumentazioni." E per le persone che non sono proprio inseribili in azienda? Anche in questo caso una proposta c'è: "Si possono organizzare cooperative con modalità lavorative adatte a soggetti medio-gravi, mentre alle aziende si chiedono delle commesse. L'importante è che il disabile non costi di più all'azienda rispetto a un altro lavoratore, altrimenti perde la possibilità di essere competitivo."
Sembra dunque delinearsi una via sicura, e non difficilmente applicabile, per facilitare l'ingresso dei disabili nel mondo del lavoro. Rimangono però ancora alcuni nodi da sciogliere, che potrebbero compromettere la situazione in senso negativo. Come ha evidenziato il Prof. Roberto Romei, Docente Universitario di Diritto del Lavoro, "La legge 68/99 ha rappresentato un vero passo avanti, ma continua ad avere delle difficoltà di attuazione. Il problema più grave è dato dalla mancanza di un coordinamento, ovvero di una collaborazione tra soggetti pubblici e privati al fine di raggiungere lo scopo comune, ovvero l'inserimento delle categorie deboli nel mondo del lavoro". La strada da seguire, come suggerito da Cervellin, dovrebbe dunque essere quella di un Ente di collocamento unico, gestito a livello regionale, che coordini la formazione dei candidati e la gestione delle offerte di lavoro.

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