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La Corte d’Assise di Milano si è espressa nella giornata di oggi sul processo che vedeva Marco Cappato imputato per aver aiutato il suicidio di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo. L’attivista è stato quindi assolto perché “il fatto non sussiste”.

La Corte d’Assise di Milano ha confermato la sentenza della Corte Costituzionale che lo scorso settembre aveva stabilito che, in determinate condizioni non è punibile chi agevola l’esecuzione del suicidio.

Per il fatto di aver accompagnato nel 2017 Fabiano Antoniani  nella clinica svizzera dell’associazione Dignitas per il suicidio assistito (poiché in Italia la procedura è illegale), Cappato era accusato di aver violato l’articolo 580 del nostro codice penale, che punisce chi determini «altri al suicidio o rafforzi l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione».

Nel febbraio del 2018 la questione era passata, come dicevamo, anche alla Corte Costituzionale, per i dubbi sulla legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio, che prevede una pena fra i 6 e i 12 anni di carcere.
Nel frattempo, il Parlamento avrebbe dovuto legiferare in tema di suicidio assistito (cosa non avvenuta). La Corte si era espressa stabilendo che Cappato non poteva essere condannato sulla base dell’articolo 580 del codice penale.

Durante il processo Cappato, presente in aula a Milano, ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo. I legali dell'esponente radicale hanno quindi chiesto e ottenuto una breve sospensione dell'udienza che è poi ripresa.



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