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Una ricerca evidenza che in oltre il 50% dei casi i ricoverati anziani di Medicina Interna restano in reparto una settimana più del necessario perché non hanno un familiare che possa assisterli o una pensione tale da potersi pagare una retta per una Rsa, o mancano strutture sanitare intermedie nel territorio


E’ un problema complesso, con ricadute su altri ambiti, quello che affligge il nostro sistema di assistenza sociale, e più in generale di sanità territoriale, quando si parla di anziani soli ad alta complessità assistenziale.
Scoperchia il tema, leggendone, appunto, una ricaduta, la survey realizzata dalla Società scientifica di medicina interna FADOI, che è andata ad indagare i tempi di dimissioni ospedaliere di pazienti anziani, e le cause di ritardi che protraggono i ricoveri anche oltre una settimana dalla data indicata dal medico.

La domanda è: perché tenere questi pazienti in ospedale più del dovuto? Perché, almeno per quanto riguarda i partecipanti alla ricerca, mancano strutture o servizi alternativi in grado di assistere l’anziano solo dopo le dimissioni dall’ospedale. Si tratta di persone che non hanno familiari che possano diventarne caregiver, o la cui pensione non consente di potersi permettere un badante o la retta mensile di una RSA. Ma la causa è anche nella difficoltà, spesso, di attivare l’assistenza domiciliare integrata.
Ma andiamo per ordine.

7 GIORNI DALLA DATA DI DIMISSIONI
La ricerca di Fadoi, società scientifica di medicina interna è stata condotta in 98 strutture ospedaliere di tutta Italia, mettendo in evidenza come dalla data di dimissioni indicata dal medico passasse oltre una settimana (nel 26% dei casi) prima dell’effettiva uscita del paziente, che trascorreva quindi diversi giorni ricoverato più del dovuto nei reparti di Medicina Interna. Nel 39,8% dei casi si andava da 5 a 7 giorni in più nei quali questi pazienti rimanevano in ospedale oltre la data indicata dal medico per le loro dimissioni, mentre un altro 28,6% rimane lì dai due ai quattro giorni in più.

MANCANZA DI ALTERNATIVE ALL’OSPEDALE
La causa di questo prolungamento? La mancanza di strutture alternative al ricovero per questi pazienti. Secondo la ricerca il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante che possano assisterli in casa. Per quasi la metà di essi, invece (il 49%), non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% ritarda le dimissioni oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio, mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi.

LE RICADUTE SUGLI OSPEDALI
Problematiche sociali, quindi, che ricadono nell’ambito ospedaliero, contribuendo ad aggravare una situazione già complessa e gravata da altri problemi, con reparti in alcuni casi intasati e gente che nel pronto soccorso aspetta in astanteria che si liberi un posto.

IL COMMENTO
Per fronteggiare l’emergenza degli anziani “bed blocker”, quelli che non si riesce a dimettere dall’ospedale perché non hanno assistenza a casa, incidendo sui costi delle strutture, serve una “cabina di regia” che imposti un dialogo tra ospedale e territorio con maggiori investimenti per l’assistenza territoriale. “L’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di anziani che beneficiano di cure a casa, con meno di 3 over-65 su 100 (il 2,7%) che ricevono assistenza domiciliare (ADI), a fronte di una media europea che non va sotto il 7% e con punte fino al 20%”, dichiara Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva, commentando i dati diffusi da Fadoi. “La messa in sicurezza degli anziani dimessi dall’ospedale tocca da vicino la capacità del nostro Servizio sanitario di prendersi cura delle persone più fragili, in particolare di coloro che sono privi di un supporto familiare. Tuttavia - continua Bernabei - il rientro in comunità continua a rappresentare un nervo scoperto dell’assitenza agli anziani, per via della carenza di servizi di assistenza domiciliare, Rsa e hospice, e della mancanza di dialogo tra ospedale e territorio”.
“Le risorse economiche stanziate dal PNRR - sottolinea Bernabei - per potenziare la dotazione dei servizi di assistenza domiciliare, puntando a raggiungere il 10% degli over-65 nei prossimi quattro anni, e per la realizzazione degli Ospedali di Comunità con valenza di strutture post-acuzie, rispondono all’esigenza di costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani. Ma questo obiettivo non può essere pienamente raggiungibile senza un modello organizzativo che raccordi medici di medicina generale, assistenza domiciliare, ospedale, RSA, post acuzie e cure palliative, vale a dire tutti gli snodi della cosiddetta long-term care. Alcune esperienze virtuose ci dicono che più l’ospedale è in grado di comunicare in tempo reale con la rete territoriale, di conoscerne il ventaglio di servizi offerti e di prendere parte alla definizione del bisogno assistenziale sin da quando il paziente entra in Pronto soccorso o in ospedale, tanto migliore sarà la presa in carico a lungo termine dell’anziano e della sua famiglia”.

L’ospedale ricopre un ruolo fondamentale nella valutazione dei bisogni clinico-assistenziali dei fragili e nell’indirizzarli verso i servizi più appropriati nell’ambito del territorio”, dichiara Francesco Landi, consulente scientifico di Italia Longeva; Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Invecchiamento, Ortopediche e Reumatologiche del Policlinico Agostino Gemelli di Roma. “Nel caso del Policlinico Gemelli, questa funzione viene svolta grazie alla presenza del geriatra in Pronto Soccorso, all’interno della cosiddetta Frailty Unit, che, in assenza di acuzie gravi, si attiva per evitare il ricovero in ospedale, rimandando il paziente a casa oppure dirottandolo in Day Hospital. Altro pilastro è rappresentato dalla Centrale di Continuità Assistenziale, anch’essa gestita da geriatri, che al momento dell’accesso dell’anziano in ospedale valuta l’attivazione dei servizi territoriali per agevolarne la dimissione. Questa facilitazione delle dimissioni si raggiunge perché con l’individuazione precoce delle esigenze socio-sanitarie si riesce a trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio: ritorno al domicilio, attivazione di servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice”.

Redazione

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