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“Con i pregiudizi incollati al cervello non si va molto lontano ma soprattutto si rischia di intralciare la strada a chi desidera camminare”


Si parla tanto – e giustamente! – in questi giorni della polemica nata dall’infelicissima uscita di Marco Travaglio e del suo uso davvero inopportuno di quel “mongoloidi” che disturba sentire, ancora nel 2017, usato  per denigrare.
Ma sorvolando – poiché si suppone assodato -  sul perché sia assurdo e sbagliato usare la disabilità e la malattia per mortificare insultare e umiliare, è invece interessante, passata al setaccio la questione, giungere alla conclusione di come tutti, in fondo, possiamo nutrire inconsapevolmente dei pre-giudizi verso la disabilità, anche senza volerlo, senza rendercene conto. Lo dimostrano le etichette tutti noi che attacchiamo alle persone, facendoci in questo modo perdere di vista che quelle che abbiamo di fronte sono, appunto, persone e non termini, non definizioni, non contenitori da riempire.

Sulla questione ci offre il suo pensiero Lila Madrigali, fondatrice e animatrice della pagina Disabili Solari, che dalla sua carrozzina che usa a momenti alterni (quando la sua patologia glielo impone o glielo risparmia) ci regala uno spunto di riflessione, alla quale siamo invitati tutti.

Quanti pregiudizi abbiamo verso la disabilità? Anche la persona dalla mente più aperta ne nutre alcuni, magari profondi e nascosti, ma li ha.
Ancora torno sul tema delle etichette. Più me ne appioppano, più è divertente spiccicarmele via dalla fronte. Ogni tanto ci vuole tempo perché la colla è bella forte; ogni tanto invece perde mordente quasi solo a soffiarci su. Basta imbracciare il coraggio di farlo.
Troppo facile ricondurre tutto ad una comoda somma nella quale, aggiungendo elementi di estetica, azioni ed interessi di una persona si ottiene un risultato che ne permetta la categorizzazione.
"Tu usi la sedia a rotelle ma ti vedo in piedi, quindi sei un disabile di categoria B!"
Ve lo siete mai sentiti dire? Per me è pane quotidiano.
Mi sono trovata ieri a spiegare questa mia posizione: non esistono disabili di serie A o B. Non sono stata capita e mi dispiace, perché con i pregiudizi incollati al cervello non si va molto lontano ma soprattutto si rischia di intralciare la strada a chi desidera camminare.
E’ liberatoria la scelta di non autocategorizzarmi in nessuna definizione prescelta. Nessun vestito se non la propria pelle, nessun capitano se non la propria mente, tanti suggeritori nella buca del teatro ma libera e spensierata l’interpretazione.

Sembra così facile che forse, a pensarci, è davvero possibile.

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